Un giochino che vale quasi 180 mila euro di
«premi» erogati tra il 2015 e il 2016. E che sostanzialmente si
concretizzava nella retrodatazione di rapporti di prova.
Fonte:
Tecnici di
laboratorio e tirocinanti erano semplicemente convinti si lavorasse
così. E in nove l’hanno ribadito. Mettendo il sigillo su un «modus
operandi» ormai consolidato e illecito. Al punto da «manomettere» un
software che avrebbe dovuto garantire imparzialità e qualità. L’Istituto Zooprofilattico di Brescia di
nuovo nel mirino della procura. E stavolta, per truffa e falso sono
indagati in 38: il direttore del laboratorio di produzione primaria
(così detto Centro latte) Giuseppe Bolzoni e 37 allevatori, titolari di
aziende agricole in provincia (da Darfo a Orzinuovi passando per Ghedi e
Leno) che secondo la procura avrebbero indebitamente percepito il
premio qualità del latte contraffacendo i campioni, «con l’aggravante di
aver commesso il fatto per ottenere da Regione Lombardia i contributi
finanziati dall’Unione Europea. E in violazione dei doveri inerenti la
qualità di dipendente di un ente sanitario di diritto pubblico». Un
giochino che vale quasi 180 mila euro di «premi» erogati tra il 2015 e
il 2016. E che sostanzialmente si concretizzava nella retrodatazione di
rapporti di prova (conferiti anche in barba alle procedure) in modo che
il periodo di riferimento rientrasse nei margini utili a incassare. Il
tutto con la complicità del funzionario di riferimento. L’inchiesta fa
capo al sostituto procuratore Ambrogio Cassiani e nasce da una
segnalazione degli ispettori regionali su alcune «anomalie» nella
refertazione riscontrate in un controllo nel novembre 2016 allo
Zooprofilattico. In sintesi, ravvisarono alcune criticità nella così
detta procedura di recupero definendo «evidente» che la condotta del
laboratorio avesse «falsato» il riconoscimento dei requisiti per il
pagamento agli allevatori del contributo qualità del latte esaminato
(livelli di carica batterica, proteine e cellule somatiche).
Sarebbe stato riscontrato, in pratica, che
per permettere al programma il calcolo della media riferita al periodo
temporale voluto, i rapporti di prova riportavano come inizio e fine
analisi non quella reale, ma la data indicata dal caseificio
(conferente) per il recupero. Sotto sequestro sono finiti documenti e
file. Emerge quello che gli inquirenti definiscono «un quadro
allarmante», anche considerato che l’attività investigativa si è
concentrata «solo» sui presunti contributi illecitamente percepiti al di
sopra dei mille euro e nel Bresciano.
Sotto la lente della procura sono finiti i
pagamenti del latte qualità «routine» gestiti dal Sistema informativo
sanitario istituto (Sisi) dello Zooprofilattico. Ed è proprio nel
sistema che sarebbe stata riscontrata «l’instaurazione di una procedura
anomala», chiamata di «recupero» per la refertazione. In sostanza, a
seguito della conformità delle analisi latte «in autocontrollo» (e non
da almeno due prelievi mensili casuali e condotti da un soggetto terzo)
avrebbe chiesto e ottenuto dallo Zooprofilattico «la conversione di
questi risultati in analisi routine» utili a conseguire i contributi,
«attestando falsamente uno scopo diverso del campionamento e
certificando il conferimento come avvenuto in modalità differente» da
quella reale. «In palese contrasto con le normative».
Bolzoni, assecondando le richieste degli allevatori - formalizzate via mail o al telefono con annotazione sull’agenda del laboratorio e tese a raggiungere le medie mensili necessarie al computo del premio - avrebbe «alterato sistematicamente» i rapporti di prova, «ritoccando, in particolare, le date della effettiva esecuzione» con «disinvolta falsificazione» a seconda delle richieste dei conferitori. Lui firmava e la Regione pagava.
Bolzoni, assecondando le richieste degli allevatori - formalizzate via mail o al telefono con annotazione sull’agenda del laboratorio e tese a raggiungere le medie mensili necessarie al computo del premio - avrebbe «alterato sistematicamente» i rapporti di prova, «ritoccando, in particolare, le date della effettiva esecuzione» con «disinvolta falsificazione» a seconda delle richieste dei conferitori. Lui firmava e la Regione pagava.
I tecnici, «secondo una pratica ormai
consolidata» trattavano il campione «recupero» con una procedure
separata: creando, nel software, una pagina di lavoro che avrebbe
consentito di modificare materialmente l’emissione dei rapporti di
prova. Alterando tempi e analisi «secondo la convenienza
dell’allevatore» e non «la verità che era destinato a dimostrare».
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