Foto tratta dal sito: "Giudicarie.com" |
Montegalda è ormai a secco di stalle e allevamenti. L’impietoso
bollettino vede ridotte a quattro quelle attive, a fronte delle decine
che si contavano fino a un ventennio fa. Quattro aziende superstiti che
potrebbero ridursi ulteriormente con l’annuncio che almeno due
chiuderanno a breve. L’allevamento più grande conta 450 vacche da latte,
mentre le tre non superano i 150 animali. Con 3.800 residenti,
Montegalda potrebbe presto trovarsi con appena due stalle e una manciata
di animali. Una questione tentacolare che vede il rimpallo di
responsabilità tra Regione, Stato ed Europa. La realtà invece, mostra
come il pragmatismo delle statistiche denunci la profonda crisi della
nostra produzione lattiero-casearia, che arriva a malapena a coprire il
47% del fabbisogno nazionale. Ci siamo spinti a compiere un “tour”,
proprio tra le ultime aziende di Montegalda per capire se continuerà
l’attività. Per Giorgio Tonello, 62 anni, proprietario della più grande
tra le aziende dell’area, con oltre 450 vacche spiega che «il nostro
unico padrone ormai, è il mercato globale, imposto dalla grande
distribuzione, che da anni ci asfissia con il “latte spot”, dove il
prezzo al produttore viene pagato meno di 40 centesimi al litro. Se
sapessi di poter vendere domani l’attività, la chiuderei oggi stesso.
Sono di una generazione di allevatori che viene dal passato, quando con
10 quintali di latte allora riuscivi a comprare una casa. Oggi con
l’Europa che ci attanaglia, il mutuo da pagare dopo l’ampliamento
aziendale del 2000, i figli che non fanno più il nostro mestiere e
l’enorme problema di trovare manodopera anche straniera, a
malapena
riesco a galleggiare. Siamo abbandonati da tutti. La speranza è chiudere
con la perdita minore». In paese, c’è chi poi sta riducendo pian piano
il numero di animali, come l’azienda di Renzo Bassan, prossima alla
chiusura. Gli unici giovani che si dichiarano fiduciosi nel futuro, «ma
solo se le cose cambiano», sono Luca Savio e Luigi Censi. Il primo è
l’unico giovane allevatore del paese, che ha ereditato la storica
azienda del padre e dello zio. Nella sua stalla ci sono 140 vacche:
«Sono l’ultimo entrato in azienda - dice Savio, 26enne - e la buona
volontà non mi manca. Serve diversificare il mestiere, ma soprattutto
servirebbe maggior sostegno dalla politica, anche locale, come dalle
associazioni di categoria. Sarei pronto anche ad ampliare la stalla per
migliorare il benessere degli animali, ma ci stiamo scontrando con la
burocrazia comunale, al punto da indurci a dar battaglia tramite
avvocati, con risorse che servirebbero per l’azienda, impiegate invece
per tutelarci». È solo in azienda, ma confida in futuro nel figlio
Marco, che studia agraria, Censi, 40enne con una stalla di 120 capi: «La
mia è una piccola attività che m’impone la presenza quotidiana per
tutto il tempo dell’anno. Non so se i miei figli saranno disposti a tale
sacrificio. Se poi sommiamo l’aspetto economico che basta a malapena a
coprire i costi, le mie e le nostre speranze sono al limite. Non
ipotizzo un’imminente chiusura dell’azienda, per ora resisto».
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