Fonte:
“Nella Germania del Nord la
produzione di latte è aumentata molto rispetto a quella complessiva, creando un
surplus in un mercato ormai saturo. Da qualche parte il latte tedesco deve pure
andare, e l’Italia non è poi così lontana. I costi di produzione e di trasporto
sono peraltro molto competitivi: è chiaro che questo può diventare un problema
per gli allevatori italiani”.
A lanciare l’allarme è Peter Paul
Coppes, senior analyst di Rabobank, istituto di credito olandese specializzato
nel settore alimentare e agricolo, presente in 40 paesi, con 900 uffici, 43
mila persone impiegate e un portafoglio clienti di 24 miliardi di euro solo nel
comparto lattiero-caseario, il 16% del fatturato globale della banca. Coppes ha
lavorato ovunque, dall’Europa all’Asia fino alla Nuova Zelanda, e l’industria
di settore la conosce bene. Da Utrecht, quartier generale di Rabobank,
l’analista olandese è arrivato a Sommacampagna, nella provincia veronese, per
confrontarsi con una cinquantina di allevatori veneti e lombardi.
L’incontro è solo l’ultimo di una
lunga serie di appuntamenti organizzati da Angelo Rossi e dal team di Clal e
Teseo, i due siti di riferimento per i produttori agricoli e per le imprese
trasformatrici a livello nazionale e globale. Incontro che è stato animato,
nella seconda parte, anche da un confronto con due esponenti di punta della
Grande distribuzione italiana: Francesco Avanzini, direttore generale operativo
Conad, e Renata Pascarelli, direttore qualità Coop Italia. Coppes risponde a
tutte le domande degli allevatori, in alcuni passaggi – quelli sul nostro Paese
- è meno convincente di altri. E quasi si scusa: “Non conosco molto bene la
realtà italiana, però mi occupo del settore lattiero-caseario da 15 anni e
capisco le sue dinamiche a livello mondiale”.
E qui l’analista lancia il
secondo affondo: “L’Italia è un paese relativamente fortunato – spiega - perché
produce formaggi di ottima qualità, come il Parmigiano Reggiano, quindi i
produttori sono disposti a pagare di più il latte alla stalla. Il motivo è
semplice: possono vendere a prezzi più alti rispetto a chi produce Cheddar o
altri tipi di formaggi più commerciali. Però, al di fuori dell’Italia, il
Parmigiano Reggiano o altri formaggi Dop non suscitano la stessa emotività tra
i consumatori. Io non so nemmeno con quale latte venga prodotto il Parmigiano
Reggiano. E probabilmente a molti clienti stranieri nemmeno interessa saperlo.
L’importante è che il formaggio sia buono”. Coppes tocca un altro nervo
scoperto: la sostenibilità economica degli operatori del settore. “Avere un
utile e vivere come un allevatore dipende quasi esclusivamente dalla
possibilità di ricevere sussidi comunitari. Perché questa non è un’attività
particolarmente redditizia”.
Mercato lattiero-caseario in
Italia
Se il problema del comparto si
guarda a monte, cioè analizzando il trend dei prezzi del latte alla stalla,
emerge chiaramente la differenza dei costi applicati in Italia rispetto a
quelli di Germania e Francia: in Lombardia, che detiene il 43% del mercato
nazionale del latte, i prezzi si aggirano intorno a 37,34 centesimi/litro
contro i 35,88 dei diretti concorrenti della Baviera e Rhône Alpes (Fonte:
Clal).
Se invece il problema si guarda a
valle, cioè dal lato della distribuzione, si evince che, salvo i prodotti bio e
pochi altri, le vendite a valore di latte e derivati sono ormai ferme da alcuni
anni nella Gdo. Il trend del mercato lattiero-caseario è in sostanza “flat”: se
si escludono i discount e i negozi di prossimità, il giro di affari degli iper
e supermercati, cioè l’80% del mercato retail italiano, raggiunge 7,5 miliardi
di euro (Fonte: Iri). Un dato sostanzialmente in flessione, confermano gli
analisti di settore, per colpa dei latticini in costante decremento da tempo. E
in seconda battuta dal calo delle vendite dei formaggi e persino dello yogurt
che fino a poco tempo fa aveva registrato a valore segnali di stabilità.
Un capitolo a parte meritano i
prodotti Dop: a parte i top player del comparto, l’enorme patrimonio caseario
italiano è valorizzato poco o nulla oltre confine, da qui l’appello di
Francesco Avanzini (Conad) e Renata Pascarelli (Coop Italia) ai produttori:
“Per essere più competitivi e farvi conoscere all’estero, fate squadra com’è
accaduto ad altre filiere made in Italy di successo, il vino su tutti”.
La visione di Conad del settore
“In un mercato tendenzialmente
saturo, Conad ha avuto una crescita media nel segmento lattiero-caseario vicina
al 4%, di poco inferiore alla crescita complessiva dell’insegna (5%) – osserva
Avanzini - . Ci siamo riusciti senza partecipare alle aste, a differenza di
alcuni nostri concorrenti. La nostra visione si fonda su due aspetti: produzione
e impresa italiana, perché siamo fortemente radicati sul territorio. Da oltre
20 anni distribuiamo nei nostri punti vendita solo prodotti caseari italiani,
l’80% a marchio”. Avanzini rincara la dose: “Qualcuno c’è arrivato dopo,
qualcuno non lo fa ancora. E qualcuno fa finta di farlo. C’è chi ha delle
coerenze e chi invece prova a venderle, Conad appartiene al primo gruppo. Lo
dico non tanto per un aspetto commerciale, ma perché è un fattore importante
soprattutto ora che il mercato alimentare si sta orientando verso un’esplosione
dell’italianità”.
Conad lavora storicamente su
nicchie e su Dop come Parmigiano Reggiano, Gorgonzola e Mozzarella di Bufala
Campana con il brand Sapori e Dintorni (72 referenze complessive, 75 milioni di
euro a valore, +5% sul 2017). “Siamo i più grandi venditori in Italia di
formaggi da banco con profondità assortimentale”, puntualizza il dg. Da un anno
Conad ha accelerato anche sul segmento green, come il biologico, con il marchio
Verso Natura (16 referenze, 10 milioni di euro, +63%). “Questo è il business e
noi ci siamo dentro – sottolinea Avanzini -: inoltre, stiamo investendo su due
marchi, PiacerSi (72 referenze, 74 milioni, +5%) e Alimentum (7 referenze, 9,3
milioni, +19,1%), che spingeremo molto nei prossimi 3 anni. La prima è una
linea completa di latticini a ridotto contenuto di grassi, la seconda di
prodotti che soddisfano le esigenze dei consumatori intolleranti al lattosio”.
Il concetto di filiera di Coop
Italia
“Coop ha investito tanto nelle
filiere produttive in questi anni, inclusa quella del latte e dei derivati,
perché questo impegno ci dà l’opportunità di avere una serie di garanzie e
sicurezze sia rispetto ai prodotti che rispetto alle frodi. Nello stesso tempo,
ci consente di essere distintivi all’interno del settore”, spiega Renata
Pascarelli. Che cosa intende Coop per filiera? “Un insieme di operatori uniti
da un legame contrattuale e coordinati da un capo filiera che li guida a
realizzare un prodotto di qualità. Questo processo ci permette di conoscere e
gestire tutte le fasi produttive e i punti critici della filiera”, risponde il
direttore qualità di Coop Italia. Che due anni fa ha dato vita ad un marchio,
Origine, che riporta sull’etichetta le informazioni dei processi produttivi,
controllo e garanzie certificate di sicurezza lungo tutto il percorso
dell’alimento: a partire dalla fase di produzione e ancora prima, dalla
raccolta nei campi, o dall’alimentazione dell'animale da cui deriva la materia
prima alimentare, fino al consumo.
“Su queste filiere Coop lavora da
oltre 15 anni e controlla ogni singolo passaggio per garantire una
tracciabilità totale. In questa direzione, si muove la nostra campagna sul
benessere animale e la rimozione degli antibiotici su tutte le filiere dei
prodotti della carne e trasformati”, conclude Pascarelli.
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