Fonte:
di Barbara Righini. La giornata di Fabio Curto,
allevatore veneto della provincia di Treviso, inizia con uno sguardo ai
dati della sua mandria sullo schermo del pc: calori rilevati, tempi di
ruminazione, allarmi per eventuali mastiti in arrivo, qualità del latte
munto. Alle 7.30 del mattino è già tutto sotto controllo. Le vacche, 130
quelle da latte, sono già state munte: ci ha pensato il robot.
La robotizzazione che tanto sta facendo discutere per le temute
ricadute sulla manodopera, non riguarda solo le fabbriche. In stalla,
ormai da qualche anno, hanno fatto la loro comparsa mungitrici,
allattatrici, macchine per il razionamento del cibo e per la pulizia dei
pavimenti. Così, nell’azienda agricola Ponte Vecchio, a Vidor
(Treviso), 300 capi di bestiame in totale, all’uomo resta ben poco da
fare. Addio al mestiere del mungitore e a diverse altre figure? “Prima
la stalla era gestita da tre unità, ora ne bastano una e mezza”.
Il professor Aldo Calcante, ricercatore in Scienze Agrarie
all’UniMi,
che si sta occupando del fenomeno, spiega: “Quello che sto notando è un
cambio di mansioni, non una riduzione di manodopera in azienda. Anzi,
direi che si aprono finestre importanti per ragazzi preparati. Va
gestita una macchina estremamente sofisticata e vanno interpretati i
dati”. E a Vidor confermano: “Abbiamo dovuto dotarci di diversi
collaboratori specializzati per controllare i robot. E la manodopera che
non serve più nella stalla non è stata licenziata, ma è passata al
caseificio visto l’aumento della produzione”. Proprio così, i robot
hanno fatto crescere l’azienda. “Da quando siamo passati alla gestione
robotizzata – racconta Curto – ogni mucca produce 3 litri di latte in
più al giorno”. L’investimento, partito due anni fa, è stato di 500mila
euro. L’ammortamento è previsto in cinque anni, ma il volume
dell’azienda è già cresciuto del 25%. E anche se con la quotazione del
latte a 0.37 euro al litro (dato CLAL del 22 maggio) i margini sono
strettissimi, Curto conta di recuperare l’investimento prima del
previsto.
La sua stalla è una delle pochissime in Italia (appena 5) ad
avvalersi di robot in comunicazione fra loro, interconnessi attraverso
un software: due mungitrici, un’allattatrice di vitelli e un robot per
il razionamento del foraggio che assomiglia a un enorme frigorifero e si
muove autonomamente tra le mucche. Che lo riconoscono e lo aspettano.
Distribuisce il cibo e recupera ciò che è avanzato dalla razione
precedente. Intanto, ai box di mungitura c’è sempre la coda. Sì, perché
sono le mucche stesse a decidere se è ora di farsi mungere. E il robot,
dopo un’analisi dei dati relativi al capo in questione, decreta se è il
momento di prelevare altro latte o di lasciare che l’animale si
ripresenti più tardi. Poco distante, in una sezione separata della
stalla, ci sono i vitellini: anche loro hanno a disposizione un robot
che prepara il latte e lo distribuisce alla giusta temperatura, con la
corretta miscela. “Sembra un paradosso – dice soddisfatto Curto – ma
l’impiego di mezzi artificiali rende i ritmi del bestiame molto più
naturali, garantisce elevati standard in termini di igiene e salute,
oltre al risparmio notevole sulla gestione”. In Italia le stalle con
vacche da latte sono circa 31mila (dato Anagrafe Bovini 7/2014). Ad
oggi, quelle con almeno un robot sono circa 400. Il dato non ha valenza
statistica, ma è quanto riportano i principali produttori di automazione
attivi sul mercato italiano (Lely, Tdm, Gea – Bellucci e DeLaval). Il
fenomeno è quindi ancora contenuto, “ma – assicurano le azienda – in
netta espansione”. Il fatturato Lely, leader di mercato in Italia, è in
continua crescita negli ultimi tre anni. Fra il 2015 e il 2016 è più che
raddoppiato e per il 2017 si stima che crescerà di un altro 15%
Il Fatto quotidiano – 1 giugno 2017
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