
NOVARA Dopo la “guerra del riso”, per gli agricoltori
scoppia la “guerra del latte”, con prezzi in picchiata. A scatenare la rivolta
degli allevatori aderenti a Cia e Confagricoltura, lo stallo delle trattative
sul prezzo del latte con il colosso alimentare Lactalis, che è diventato ormai
il punto di riferimento per la formazione del prezzo per tutto il nord: secondo
Cia e Confagricoltura«le industrie vogliono ridurre unilateralmente il prezzo a
0,42 euro al litro» ma «non ci sono motivi che giustifichino questa
diminuzione, soprattutto per
produzioni di formaggi dop». «Il gorgonzola,
sbocco principale del latte novarese e del VCO, sta avendo ottime performance
sia in termini di volumi che di prezzi. La produzione dei primi sei mesi del
2014 è aumentata di oltre il 9% rispetto all’analogo periodo dello scorso anno,
i prezzi all’ingrosso rimangono stabili ma segnano un +7% rispetto a un anno
fa, quelli al consumo sono a + 5,13% rispetto all’anno scorso e sono aumentati
dell’1,45% tra gennaio e maggio 2014, pur in presenza di una situazione di
deflazione dei prezzi dei prodotti alimentari in generale, e anche le esportazioni
vanno bene – fanno sapere Cia e Confagricoltura – Se a gennaio e febbraio le
produzioni di latte sono state in aumento già da marzo c’è stato un
ridimensionamento con un calo progressivo anche all’estero, in paesi e aree in
cui permangono limiti produttivi dovuti a svariate motivazioni di carattere
tecnico, ambientale e meteorologico. Inoltre ci sono segnali che fanno
prevedere un sostenuto aumento della domanda di latte a partire da settembre.
Uno scenario positivo che non giustifica una diminuzione del prezzo
riconosciuto alla stalla».
«La media del prezzo del latte alla stalla del primo
semestre 2014 è stata buona, ma non si possono ignorare i costi di produzione e
la percentuale di aumento che hanno registrato. Nella formazione del prezzo non
si può non tener conto dei costi di produzione del comparto. Nell’ultimo
triennio l’aumento dei costi è stato variabile tra il 25 e il 33% e
l’incremento del prezzo del latte, di poco più del 10%. Negli USA, uno dei
grandi produttori mondiali, il prezzo latte è cresciuto del 24% nell’ultimo
anno, in Francia del 6% negli ultimi sei mesi.
Gli allevatori italiani devono fare i conti con gli
onerosi costi “italiani”, energia, trasporti, materie prime, burocrazia,
controlli ecc. che da anni stanno minando i conti delle nostre stalle. Il
prezzo e la marginalità del latte sono elemento imprescindibile dell’economia
delle aziende zootecniche e al momento non ci sono condizioni che permettano
riduzioni di prezzo senza correre il rischio di chiusura di molte stalle.
La
diminuzione del prezzo riconosciuto alla stalla oltre che ingiustificato
sarebbe un’operazione miope e di corto respiro, metterebbe a rischio la
permanenza di una buona base produttiva agricola sul territorio, elemento di
garanzia anche per le imprese industriali. Il valore aggiunto delle D.O.P.
deriva in maniera determinante dalla qualità e dalla territorialità della
materia prima che non può essere sostituita con prodotto d’importazione.
Pertanto diciamo no alla diminuzione del prezzo del latte, peraltro per
decisione unilaterale e senza alcun accordo di prospettiva. La definizione del
prezzo non può che essere il frutto di una strategia comune di valorizzazione
delle produzioni che veda protagonisti produttori e trasformatori nella
costruzione di un sistema agroalimentare che sappia confrontarsi con i mercati
e con la grande distribuzione per una più equa ripartizione del valore
aggiunto».
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