Il presidente degli industriali
mangimisti delinea le nuove strategie
dell’associazione: serve un rapporto più stretto con allevatori e
coltivatori. E oggi anche con il mercato a valle della produzione
zootecnica
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Ma non solo con i
coltivatori: oggi deve comunicare di più anche con il mercato che sta a
valle della produzione finale, via via sino agli stessi consumatori, le
cui nuove sensibilità condizionano in modo sempre più decisivo lo stesso
mercato, e quindi il resto della filiera. E dato che il consumatore
moderno esige dal mondo dell’industria agroalimentare anche nuove
attenzioni, come la riduzione degli sprechi alimentari e certezze sulla
sicurezza alimentare, questi due fattori devono diventare parole
d’ordine pure per i mangimisti.
Lo ha affermato
chiaramente il giorno dell’assemblea nazionale di Assalzoo, poche
settimane fa a Bologna: «Tutto il mondo associativo si sta interrogando
su come svolgere al meglio il proprio ruolo, anche in riferimento alla
necessità di aprire sempre più il dialogo con le altre rappresentanze
della filiera agroalimentare. Tra queste rivestono per noi un rilievo di
primo piano le organizzazioni del mondo agricolo e allevatoriale, che
rappresentano da un lato i fornitori delle materie prime e dall’altro i
clienti delle nostre aziende. È fondamentale mantenere aperto un dialogo
privilegiato con la rappresentanza della produzione primaria,
intensificando i rapporti di collaborazione e ricercando strategie
comuni da sostenere nei confronti degli interlocutori istituzionali
comuni. A beneficiarne saranno non solo l’attività svolta dalle nostre
rispettive aziende ma anche gli stessi consumatori finali, troppo spesso
ignari di quanto accade nel mondo dell’agroalimentare».
Riduzione degli sprechi alimentari
Riduzione degli sprechi alimentari
Oggi si stima, ha
dunque spiegato Allodi, che il solo consumatore finale arrivi a sprecare
tra il 30 e il 40% del cibo che acquista. In Europa vengono sprecati
ogni anno 90 milioni di tonnellate di alimenti.
Sprecare può
significare anche utilizzare male
e in modo poco efficiente le risorse
alimentari nei vari cicli di produzione. «Evitare gli sprechi è un tema
che vede impegnata da sempre l’industria mangimistica, che utilizza e
valorizza nel proprio ciclo produttivo materie che derivano da altre
produzioni alimentari. Basta consultare l’elenco delle materie prime per
mangimi per rendersi conto di quale sia la capacità del nostro settore
industriale di convertire in risorse alimentari prodotti, sicuri e di
qualità, che altrimenti sarebbero sottratti alla produzione di cibo e
sarebbero perciò destinati ad impieghi secondari o peggio allo
smaltimento».
Non vi è dubbio che
nella prevenzione degli sprechi l’industria debba fare la propria parte,
«ma è certo che anche ai nostri amministratori e ai politici compete un
ruolo importante di indirizzo delle produzioni, attraverso l’attività
normativa. Sicuramente certe scelte del nostro Paese che vietano il
ricorso all’innovazione, che non favoriscono e non promuovono la
ricerca, che sostengono soltanto modelli di produzione agricola poco
efficienti, hanno l’effetto di deprimere ancor più le nostre
potenzialità produttive, come confermano i dati della produzione
nazionale di molte materie prime agricole in questi ultimi anni».
Fra l’altro, ha
concluso Allodi, evitare gli sprechi favorirebbe le potenzialità
produttive delle limitate superfici agricole italiane, dimostrandosi in
linea con il criterio della sostenibilità.
Sicurezza alimentare / “safety”
Sicurezza alimentare / “safety”
Ma la sensibilità del
consumatore moderno non si ferma alla condanna degli sprechi
alimentari. Si estende anche, fra l’altro, anche alla sicurezza
alimentare. E quello della sicurezza alimentare, ha continuato il
presidente di Assalzoo all’assemblea di Bologna, «è sicuramente un
obiettivo e una sfida continua per tutti i settori della filiera e
sicuramente il settore mangimistico è tra quelli che si trovano in prima
linea su questo fronte. Concetti come salute, sicurezza, rischio,
precauzione, rintracciabilità, autocontrollo risuonano quotidianamente
nelle nostre aziende, dai nostri addetti commerciali ai nostri tecnici
di laboratorio, dagli addetti alla produzione agli addetti al
trasporto».
Si tratta dunque di
sicurezza alimentare intesa come “food safety”; ma Allodi si è espresso
anche sulla sicurezza alimentare intesa come “food security”
(disponibilità di cibo), come vedremo più avanti. Rimaniano però ancora
per qualche altra riga sulle idee di Allodi in merito alla food safety.
«Abbiamo cercato
sempre di responsabilizzare tutto il nostro personale alla massima
attenzione sulla sicurezza, perché siamo coscienti di essere tra i
primissimi anelli della filiera alimentare e conosciamo le nostre
responsabilità. Per questa ragione, nel settore dell’alimentazione
animale, l’industria mangimistica è quella che dedica le maggiori
risorse e un impegno continuo per assicurare al meglio alle sue
produzioni questo importante prerequisito».
Oltre a ciò Assalzoo
ha anche sostenuto, coinvolgendo altre associazioni come Anacer, Assitol
e Italmopa, «la necessità che nei contratti di compravendita di materie
prime fossero inserite clausole che richiamassero un’attenzione
particolare al problema della sicurezza e della qualità igienico
sanitaria delle materie prime che acquistiamo. E lo abbiamo fatto non
solo per avere uno strumento contrattuale in linea con le nuove esigenze
in tema di sicurezza alimentare ma, soprattutto per cercare di
prevenire le fonti di rischio, cercando di responsabilizzare anche con
uno strumento contrattuale le parti nel rispettivo ruolo di competenza.
Le nostre proposte sono al vaglio delle associazioni granarie, ma siamo
determinati a portare avanti questo lavoro, convinti che sia necessario
un maggiore impegno anche dei nostri fornitori perché l’obiettivo
sicurezza venga rispettato ad ogni livello».
Sempre a proposito di
sicurezza alimentare: «Purtroppo non abbiamo vita facile e spesso siamo
proprio noi mangimisti a dover subire i problemi maggiori che derivano
da altri anelli della filiera, subendo danni enormi sotto il profilo
economico, dell’immagine e della credibilità. I recenti fatti di
cronaca, caduti come un macigno sul nostro settore, confermano che c’è
da fare ancora molto. Ci sono punti deboli della filiera che non
possiamo e non spetta a noi controllare, ma che determinano problemi
anche sul nostro settore». La filiera infatti «è una sola e le
disfunzioni di un segmento si ripercuotono su tutti gli altri,
rimettendo ogni volta in discussione il lavoro di ognuno».
E’ per prevenire
problemi come questi che l’Associazione ha adottato il Codex Assalzoo.
Un codice volontario, certificato da un ente terzo, il cui rispetto
mette le aziende mangimistiche «nella condizione di ridurre ogni
possibile rischio».
Ma per i mangimisti è
necessario anche non restare isolati, dal rapporto con i fornitori di
materie prime a quello con i clienti finali, «affinché questo impegno
oneroso che mettiamo in campo non venga vanificato per disattenzione o
per comportamenti a volte troppo disinvolti. È per questo che
richiamiamo la necessità di una maggiore integrazione della nostra
filiera, perché è solo così che si potranno migliorare le nostre
produzioni, evitando piccoli problemi o grandi emergenze, che in campo
alimentare hanno un effetto di amplificazione devastante come non si
verifica in nessun altro settore».
La produzione mangimistica
La produzione mangimistica
Queste posizioni, ma
anche altri come la sicurezza della disponibilità di alimenti (food
security) e la sostenibilità delle produzioni, come vedremo più avanti,
Allodi le ha sostenute appoggiandosi a dati statistici ben precisi, come
quelli delle sei tabelle riportate in questo articolo.
La produzione
mangimistica, ha fatto notare Allodi discutendo la tabella 1, nel 2013
ha dovuto subire una ulteriore lieve contrazione, un -0,6%, che fa
seguito al -2,7% del 2012. Tuttavia ha tenuto bene: «pur venendo da due
anni consecutivi di contrazione, resta sopra la soglia dei 14 milioni di
tonnellate, non lontana dal picco storico del 2011».
Il calo produttivo
della produzione mangimistica ha riguardato tutte le categorie di
bestiame allevato, ad eccezione dei suini che, seppur in modo lieve,
hanno mantenuto il segno positivo (vedi tabella 2). Sostanzialmente
stabili gli alimenti per avicoli, «che restano saldamente il primo
comparto della produzione mangimistica italiana»: la riduzione di
produzione accusata dagli alimenti per ovaiole e tacchini è risultata
interamente compensata dalla buona performance degli alimenti per
broilers.
Continua, ha
sottolineato il presidente Assalzoo, il calo produttivo dei mangimi per i
bovini da carne, «che conferma la grave crisi di questo specifico
comparto, sul quale pesano la contrazione dei consumi e una progressiva
riduzione delle consistenze, accentuata anche dalle notevoli difficoltà
nel reperire capi da ristallo».
D’altro canto, anche
il dato positivo degli alimenti per suini «nasconde una situazione non
facile per quel comparto: a seguito della grave crisi di mercato degli
scorsi anni, la suinicoltura ha dovuto subire un forte ridimensionamento
dei capi allevati, quasi un milione in meno in due anni. Tanto che, a
partire dall’ultimo trimestre del 2013, si sono registrati cali
significativi della produzione dei relativi mangimi; riduzione che trova
conferma anche nei dati dei primi mesi del 2014».
Tra i mangimi per altri
animali, vi è stata una contrazione generalizzata della produzione per
tutte le specie ad eccezione dei mangimi per pesci che hanno, invece,
fatto segnare un forte incremento, confermando le buone potenzialità del
settore dell’acquacoltura.
Sicurezza alimentare / security”
Sicurezza alimentare / security”
Questa discussione
sulla produzione ha poi consentito ad Allodi di andare ad affrontare un
altro tema oggi molto sentito, quello della sicurezza degli
approvvigionamenti alimentari, problematica definita anche con
l’espressione “food security”. Problematica declinata da Allodi prima di
tutto da un punto di vista nazionale ma poi anche da un punto di vista
mondiale.
In Italia dunque: qui
nel 2013 è cresciuto il grado di dipendenza dall’estero di materie
prime per mangimi (tabella 3). «E il ricorso alle importazioni diventa
sempre più indispensabile per garantire una produzione di mangimi
sufficiente ad alimentare gli animali allevati nel nostro Paese. Animali
che, peraltro, sono a loro volta insufficienti a soddisfare la domanda
interna di prodotti di origine animale come latte, carni, pesce, uova».
A questo proposito
Allodi ha richiamato l’attenzione su fatto cheil problema non riguarda
più solo la soia: ora anche per il mais, di cui fino al 2005 avevamo un
grado di auto-approvvigionamento vicino al 100%, sono progressivamente
aumentate le importazioni, a causa del continuo calo della produzione
interna, tanto che nel 2013 si è arrivati ad acquistarne all’estero
quasi il 40% del fabbisogno interno.
Se si considerano le
sole materie prime indicate in tabella 3, su una disponibilità di
21.728.671 tonnellate la capacità di auto-approvvigionamento del nostro
Paese scende addirittura sotto la soglia del 50%. «Un aspetto che pone
in evidenza le notevoli difficoltà della nostra agricoltura, penalizzata
da una dimensione aziendale media troppo piccola, da alti costi di
produzione, da rese troppo basse e dalla mancanza di innovazione; tutti
elementi che di fatto minano la competitività e le potenzialità
produttive. A ciò si aggiunga l’assenza in Italia di una politica
agricola mirata a valorizzare il ruolo strategico che agricoltura e
zootecnia rivestono non solo sotto il profilo economico e occupazionale
ma anche dal punto di vista, ancor più importante, della sicurezza degli
approvvigionamenti alimentari».
Inoltre le quotazioni
delle materie prime agricole nazionali sono sempre più dipendenti
dall’andamento dei mercati internazionali, con tutto ciò che ne consegue
in termini di volatilità dei prezzi e incertezza degli
approvvigionamenti. Negli ultimi cinque anni i prezzi delle principali
materie prime per mangimi hanno subito un rialzo senza precedenti e, pur
se nel 2013 vi è stata una riduzione delle quotazioni dei cereali e dei
loro derivati (tabella 4), il loro livello, ha detto il presidente di
Assalzoo, resta comunque elevato ed è reso incerto da una domanda
mondiale in costante ascesa e dalla concorrenza esercitata dagli
impieghi non alimentari. E poi nel 2013 anche se sono calate le
quotazioni dei cereali si è però registrato un ulteriore incremento dei
prezzi di tutte le materie prime proteiche.
La questione della
sicurezza degli approvvigionamenti, ha sottolineato Allodi, riguarda
naturalmente anche gli allevamenti e le relative produzioni. «Un dato su
cui grava anche il progressivo calo delle consistenze dei capi allevati
in molti settori (tabella 5). La riduzione ha riguardato in particolare
i bovini da carne, che hanno perso oltre il 10% solo negli ultimi 5
anni, i suini, che hanno perso quasi un milione di capi in 2 anni, e gli
ovini, anch’essi in forte regresso negli ultimi 4 anni. Da notare che
il dato delle consistenze sarebbe inferiore se non si considerasse che
una parte importante degli animali allevati non sono nati in Italia ma
sono importati vivi dall’estero e ingrassati nel nostro Paese».
Ora, a parte il
settore delle carni avicole, unico ad assicurare un grado di
autoapprovvigionamento del 100%, e anche superiore al 100%, per gli
altri comparti della carne (bovino, suino, ovicaprino ed equino), per il
latte e per il pesce «la produzione nazionale è largamente
insufficiente a soddisfare la domanda interna. Ne deriva la necessità di
importare una quota consistente di carni, latte e pesce, e in questi
ultimi due anni anche di uova» (tabella 6).
Fin qui i problemi
relativi all’Italia. Ma a Bologna Allodi ha affrontato il tema della
“food security” anche da un punto di vista internazionale: «Una delle
più importanti sfide da giocare per il futuro sarà sicuramente quella di
come alimentare la popolazione del nostro Pianeta che si stima crescerà
di qui al 2050 da 6 miliardi a oltre 9 miliardi di individui. Un
problema fondamentale per il futuro, tanto che costituirà, tra l’altro,
il tema centrale della prossima Expo 2015 di Milano».
Di conseguenza «il
Mondo dovrà essere capace di produrre di più utilizzando meno, bisognerà
accrescere l’efficienza, migliorando le tecniche e promuovendo
l’innovazione, aumentando le rese di produzione, ottimizzando l’uso
delle risorse a disposizione e contenendo l’impatto ambientale. Una
priorità che dovrebbe vedere impegnati in prima linea i Paesi, come il
nostro, che sono fortemente deficitari di materie prime per uso
alimentare, Paesi che dovrebbero mettere in campo politiche finalizzate a
garantire in futuro la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari
per il proprio fabbisogno».
Ora, dato che
l’Italia convive con una superficie agricola limitata, che non sarà mai
sufficiente a garantire la produzione per il proprio fabbisogno di
materie prime alimentari, «ha il dovere di favorire il massimo sviluppo
possibile delle produzioni vegetali e animali».
L’obiettivo è di
«riuscire ad alimentare tutti in modo sufficiente e a costi sostenibili,
producendo di più ed evitando inutili sprechi. Un obiettivo che di
certo l’Italia non può raggiungere con le politiche del chilometro zero,
del biologico o delle produzioni di nicchia e in genere dello “slow
food”, le cui quantità e i cui costi sono alla portata di pochi».
Sostenibilità delle produzioni
Sostenibilità delle produzioni
Ma un’altra tematica
che ha conquistato l’attenzione di consumatori mercato e politica è
quella della sostenibilità ambientale delle produzioni. Nella Ue è stata
adottata anche una specifica Raccomandazione - la 2013/179/Ue - che ne
ha definito la base legale, con l’obiettivo di dare alla sostenibilità
una definizione di legge.
Ora, tra gli
organismi che si sono applicati all’implementazione di queste
metodologie generiche vi è anche la Fefac, la federazione europea degli
industriali mangimisti. La metodologia di calcolo dell’impatto
ambientale dei mangimi proposta dalla Fefac è stata selezionata dalla
Commissione Ue, che ne valuterà i contenuti nei prossimi due anni.
Bene, «Assalzoo ha
accolto positivamente questa Raccomandazione, soprattutto perché negli
ultimi anni vi è stata una proliferazione di metodi e iniziative
indipendenti - quasi sempre strumentali ad altri fini - che hanno
generato confusione e hanno spesso fornito una realtà distorta
dell’impatto sull’ambiente di certe produzioni».
Un
esempio è «quello che può essere definito come un vero e proprio piano
di attacco contro il settore delle carni, accusato impropriamente di
essere una produzione ad alto impatto ambientale e quindi non
sostenibile. Non è ammissibile che vengano lanciate accuse a settori
produttivi - oltretutto fondamentali per la produzione di cibo - sulla
base di studi di impatto ambientale effettuati con metodologie di
comodo, che distorcono in modo strumentale la realtà. Auspichiamo, anche
in questo settore, un approccio laico e più scientifico per giungere a
conclusioni serie che non nascondano secondi fini».
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