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Gli incontri a livello regionale con gli industriali infatti si sono conclusi tutti con una fumata nera perché non si è riusciti a raggiungere un’intesa condivisa. Le proposte delle aziende trasformatrici, orientate a un pesantissimo ribasso rispetto al procedente accordo, sono state giudicate inaccettabili dagli allevatori e quindi respinte al mittente.
«La fase di stallo in cui ci troviamo - sottolinea il presidente di Coldiretti Bergamo Alberto Brivio - è
molto preoccupante ma non possiamo accettare che il nostro
lavoro venga
messo in pericolo da chi mortifica il prodotto di alta qualità dei
nostri allevamenti, per poi comprare in ogni parte del mondo latte con
cui produrre formaggi da spacciare sul mercato come italiani, danneggiando i produttori e ingannando i consumatori».
La situazione ha ormai raggiunto livelli insostenibili e le
difficoltà delle zootecnia provinciale sono chiaramente messe in
evidenza dai numeri. Le stalle da latte sono passate
dalle 783 del 2013 alle attuali 764 e la continua e inesorabile
contrazione é il sintomo evidente che la loro redditività é in caduta
libera a causa di un aumento esponenziale dei costi di produzione
che ormai vanno ben oltre la remunerazione del latte alla produzione.
«Stiamo correndo il rischio di pregiudicare in modo irreversibile un
comparto fondamentale della nostra agricoltura - spiega Brivio -; nelle nostre stalle si produce l’8 per cento del latte lombardo,
una realtà che purtroppo é diventata via via più fragile. Se
continuiamo con il trend di chiusura degli allevamenti degli ultimi anni
arriveremo presto all’azzeramento di un patrimonio strategico per il
nostro territorio, con gravi contraccolpi per la produzione agricola e
l’aspetto occupazionale».
A pesare è anche l’iniqua distribuzione del valore lungo la filiera
(del valore complessivo prodotto dal settore lattiero caseario poco più
del 18 % al lordo dei costi di produzione è rappresentato dalla quota
agricola, il 38% dalla quota industriale mentre il 43,5% è costituito
dai margini di distribuzione che si formano tra il cancello dell’azienda
agricola e l’acquisto da parte del consumatore) con il consumatore che continua a pagare il latte fresco oltre 4 volte il prezzo corrisposto alla produzione.
Vale a dire che agli allevatori finora sono andati in media 0,39
centesimi di euro al litro mentre il consumatore é arrivato a pagare
anche 1 euro e 60 per la stessa quantità di prodotto.
Non deve trarre in inganno il fatto che la differenze tra la proposta
degli industriali e le richieste del mondo agricolo stia tutta in pochi
centesimi al litro, gli interessi in gioco sono tutt’altro che di poco
conto. Infatti il latte è uno degli alimenti di più largo consumo ed é
presente nel 99% delle famiglie italiane che nel 2013 ne hanno consumato
oltre 3 milioni di tonnellate, circa 53 chili pro capite.
«La situazione del mercato del latte e dei trasformati - conclude
Brivio - non è tale da giustificare la decisione degli industriali di
erodere ulteriormente il margine di redditività della parte agricola. Chissà perché quando il prezzo del latte diminuisce alla stalla non diminuisce anche al consumo.
Noi siamo pronti a fare la nostra parte ma una proposta responsabile
non può ignorare che produrre un litro di latte in Lombardia costa in
media 45 centesimi. Un valore che è ben al di sopra dei 36 centesimi al
litro proposti dagli industriali nell’ultimo incontro della trattativa.
Per scongiurare la definitiva scomparsa del latte bergamasco,
auspichiamo l’intervento delle Istituzioni affinché questa grave
situazione trovi al più presto una concreta soluzione».
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