Foto tratta da: "Milano Post.info" |
Fonte notizia:
Il
Ministero delle Politiche Agricole ha inserito nella legge di
stabilità, appena approvata, l'istituzione di un Fondo per gli
investimenti nel settore lattiero caseario a sostegno alla produzione,
con una dotazione finanziaria di 108 milioni di euro (8 milioni per il
2015, 50 milioni di euro all'anno per il 2016 e 2017). Gli obiettivi:
"incremento della longevità”, "miglioramento degli aspetti relativi al
benessere animale”, "resistenza genetica alle malattie”,"rafforzamento
della sicurezza alimentare”, ”riduzione dei trattamenti antibiotici”.
Al momento in cui scrivo, non sono in condizione di sapere se nel mare magnum
degli emendamenti dell’ultim'ora questa voce sia rimasta e - se sì -
con quali
dotazioni, anzi speriamo che sia stata tolta, perché la
soluzione proposta è peggiore del male. Possibile che nel 2015 ci sia
ancora qualcuno convinto che si possano risolvere i problemi sopra
esposti con la genetica o con le tecniche che il sistema intensivo
utilizza? E questo perché che detti problemi sono stati e vengono
determinati proprio dalla genetica e da un sistema di alimentazione che
peggio di così non si può.
A
metà degli anni 70 - ero appena laureato - il Ministero
dell’Agricoltura mise in piedi un grande progetto di recupero della
fertilità, si chiamava con un delicato eufemismo: ”Ipofecondità”. E fin
qui niente di male, anzi. Bene, indovinate a chi affidò il progetto. Ma
all’Associazione Allevatori, cioè allo stessa realtà che proprio a causa
della selezione e di quel sistema alimentare - che si era spinto a
"nobilitare" i sottoprodotti dell’agricoltura come alimenti di grande
qualità - stava determinando la riduzione della fertilità. Insomma,
avevano affidato le pecore al lupo e l’Aia, da una parte prendeva soldi
per ridurre la fertilità e dall’altra ne arraffava ancora di più per
recuperarla.
Non
a caso i danni sono sotto gli occhi di chi vuol vedere: un coefficiente
d’inincrocio che è arrivato al punto di non ritorno, la parola
“rimonta” che è andata fuori corso, una longevità (più che un eufemismo è
uno sfottò) scesa ai minimi termini, una qualità del latte che
conosciamo bene perché ne parliamo in ogni articolo.
Non si risolve un problema utilizzando la stessa logica che lo ha generato
Che la situazione sia grave lo sappiamo. L’avvento in contemporanea della fine delle quote latte, dell’embargo alla Russia, dell’aumento della produzione di latte e dell’entrata nel mercato del latte della Coca Cola, creeranno un panico tanto grande quanto giustificato. Ci vorrebbero nervi saldi e una capacità di analisi dei problemi che queste decisioni non lasciano intravvedere. Anzi è un dejà vu e già sappiamo dove ci porterà.
Che la situazione sia grave lo sappiamo. L’avvento in contemporanea della fine delle quote latte, dell’embargo alla Russia, dell’aumento della produzione di latte e dell’entrata nel mercato del latte della Coca Cola, creeranno un panico tanto grande quanto giustificato. Ci vorrebbero nervi saldi e una capacità di analisi dei problemi che queste decisioni non lasciano intravvedere. Anzi è un dejà vu e già sappiamo dove ci porterà.
Chi
mi segue lo saprà: io sono convinto che la crisi sia nel prezzo unico
del latte e nell’appiattimento conseguente della qualità del latte e dei
prodotti caseari. Non legando la qualità al territorio (a parte le
poche nicchie di formaggi da animali al pascolo), si finisce per essere
succubi del mercato internazionale, l’allevatore non ha potere
contrattuale e, purtroppo, a chiudere saranno sempre quelli che fanno
più qualità.
Credo
di sapere anche come finirà questa storia: sopravvivranno i grandi
produttori delle pianure, sempre però con il cappello in mano, e le
nostre montagne e colline resteranno silenziose. Gli unici a gioire
saranno i genetisti, perché non solo avranno raggiunto i risultati
perseguiti ma anche perché riusciranno a trovare sempre qualcun altro
che si convincerà che l’unica soluzione è continuare a selezionare
animali, ormai in via di estinzione.
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