Farmageddon: il gioco di parole, che richiama alla memoria il film-cult Armageddon, lo utilizzò nel 2012 Emergency, promuovendo un libro e uno spettacolo teatrale sulle aberranti logiche del mercato sanitario e sul rischio di una vera e propria apocalisse nel mondo della sanità. A distanza di due anni, non si sa se per fortuita coincidenza o se per altro motivo, il medesimo nome è - con un libro così intitolato - parte preponderante dell'attuale attività di Philip Lymbery, amministratore delegato di Ciwf (Compassion in World Farming). Per chi non la conoscesse, Ciwf è un'organizzazione internazionale (con sedi e rappresentanti in quattro continenti e nove Paesi, tra cui il nostro) che ha come principale missione il contrasto degli allevamenti intensivi e la promozione delle buone pratiche zootecniche, nel rispetto degli animali da reddito, dei consumatori e dell'ambiente.
Lymbery, che il suo Farmageddon-libro lo ha lanciato nella primavera scorsa, è da allora impegnato in un fitto programma di conferenze internazionali (le prossime nella sua Inghilterra, in Repubblica Ceca e in Malesia), dopo le due recenti tappe italiane - a Milano il 3 e 4 scorsi e a Bologna, martedì 2, sul tema "Cibo sostenibile per tutti? Le sfide attuali e future dell’alimentazione mondiale". «Compassion in World Farming», ha annunciato Lymbery, «sarà sicuramente presente all'Expo 2015, il cui tema - "Nutrire il pianeta, energia per la vita" - ci deve vedere tutti impegnati: mangiando meno, ma carne più sana; fermando la concorrenza tra animali e persone per il cibo; comprando prodotti che sono stati allevati a terra. Questo è quanto noi tutti possiamo fare per nutrire il pianeta».
«L'allevamento intensivo è nocivo per gli animali», ha proseguito il Ceo di Ciwf, «dannoso per la salute umana e l'ambiente e contribuisce allo spreco di cibo. Le principali conseguenze dell'allevamento industriale (il "factory farming" da cui trae spunto il titolo del suo volume, ndr) sono la resistenza agli antibiotici, una carne di cattiva qualità e, naturalmente, gli animali tenuti in condizioni inaccettabili». Inoltre, ammonisce Lymbery, «gli allevamenti intensivi diffondono malattie: quando gli agenti patogeni, sia batteri che virus, possono trovare una scorta infinita di ospiti da infettare tra gli animali che vivono in ambienti ristretti, non muoiono. I virus possono mutare mentre infettano una sequenza di animali, diventando più aggressivi e sviluppando potenzialmente la capacità di infettare persone e di essere trasmissibili tra esseri umani. In questo contesto gli antibiotici vengono utilizzati per puntellare un sistema intrinsecamente malato».
La qualità del cibo
Se tutto ciò non bastasse, ecco che Lymbery rincara la dose con un argomento che - se è vero com'è vero che siamo ciò che mangiamo - non può non scuotere le coscienze di ognuno di noi, perché «l'intensificazione dell'allevamento ha distrutto la qualità nutrizionale degli alimenti: la carne prodotta nei sistemi industriali contiene più grassi saturi e ha livelli di Omega 3 assai bassi, contribuendo all'epidemia di obesità». Per non parlare poi dello spreco assurdo di alimenti per uso animale: «per sei chilogrammi di proteine vegetali che alimentano il bestiame, solo un chilo di proteine animali torna indietro, di media, sotto forma di carne o altri prodotti di origine animale destinati agli esseri umani. Uno spreco che si traduce in perdita di risorse alimentari, e di terreno agricolo» che nessun essere senziente può in coscienza accettare.
Un'alternativa è possibile
«Una riduzione del consumo umano di carne», prosegue l'amministratore di Ciwf, «abbinato ad un ritorno verso pratiche di allevamento al pascolo, potrebbe fare una grande differenza. Semplicemente utilizzando un'alimentazione - l'erba - che, a differenza di mais e soia, l'uomo mai mangerebbe, in territori - i pascoli - che nessuno utilizzerebbe in altro modo».
«Bisogna confidare nel potere dei consumatori, ed ecco cosa si può fare, quello che tutti possiamo fare: quello che raccomando è l'acquisto di latte e carni generati dal pascolo. Fintanto che acquistiamo prodotti derivati da animali allevati a terra (ruspanti, biologici), favoriamo i produttori locali o i rivenditori di cui ci fidiamo, mangiamo ciò che compriamo e quindi riduciamo lo spreco di cibo ed evitiamo l'eccessivo consumo di carne, possiamo riempire i nostri piatti in modo da rispettare la natura, la nostra salute e il benessere degli animali».
«Ognuno di noi ha la possibilità di cambiare il mondo tre volte al giorno», conclude Lymbery, «scegliendo cibo da allevamenti al pascolo, all'aperto o alimenti (realmente) biologici».
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