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“Non pretendiamo certo – dice a BlogSicilia Giuseppe Manzella
presidente del consiglio comunale di Cinisi – che si istituisca una
struttura solo per la cinisara
anche se, naturalmente, e a salvaguardare
quella che noi miriamo. Ci sono altre razze autoctone in Sicilia
specialmente nella Sicilia orientale come la modicana solo per fare un
esempio. Quello che chiediamo è tutela della specie e aiuti per gli
allevatori che non ce la fanno più. La cinisara, continuando così,
rischia di sparire”.
La cinisara è, attualmente, l’unica specie che
continua a vivere soltanto nell’area territoriale dove è nata e si è
sviluppata. Complessivamente la popolazione è al di sotto dei 500 capi.
in tutto esistono una trentina di piccoli allevamenti che ospitano dai
10 ai 15 capi. Non ci sono allevamenti intensivi ma solo estensivi. Le
mucche non sono stressate e vivono e si nutrono in modo naturale.
“Gli allevatori sono allo stremo per un insieme di motivi – continua Manzella
– che vanno dalla crisi economica all’aumento del prezzo dei mangimi ma
complice anche la mancata assegnazione di quote latte fino ad oggi ed i
problemi di alcuni allevamenti con la tubercolosi”.
Girando per gli allevamenti i problemi si percepiscono subito
così come l’amore che gli allevatori di Cinisi mettono nel loro lavoro.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere da un allevamento, le
vacche sono considerate quasi come membri della famiglia. Ogni capo non
ha solo un auricolare ed un codice identificativo. Hanno nomi propri nei
quali gli animali si riconoscono. Rispondono quando vengono chiamate
individualmente. Nomi come Vittoria, Baronessa, Parigina, Baggiana. Nomi
che rispecchiano il carattere della mucca. E questi animali danno latte
tutti i giorni.
“Da sempre questi animali si nutrono dell’erba che
trovano nei nostri terreni impervi – dicono gli allevatori che però non
desiderano essere nominati – e noi aggiungiamo mangimi naturali che
rispetto alla fine degli anni ’90 sono aumentati di prezzo anche tre o 4
volte mentre il prezzo del latte è rimasto lo stesso, solo convertito
in euro e dunque dal valore ridotto”.
In un Paese da 12.400 abitanti, la cinisara fino a
qualche anno fa era una ricchezza che permetteva non esistesse
disoccupazione. Oggi per far vivere un allevamento spesso l’allevatore
deve investire di suo. C’è chi spende la propria pensione per dar da
mangiare ai suoi animali piuttosto che ricavarne un utile.
“Lo fanno per il legame che c’è fra questo territorio
e la vacca cinisara – dice ancora Manzella – ma non si può continuare
così. Alla lunga anche i più appassionati si stancheranno di rimetterci e
la razza finirà con lo sparire del tutto”.
Ma a Cinisi non nascondo altri problemi come quello della tubercolosi bovina.
Alcuni capi sono stati abbattuti di recente su ordine dei veterinari
dell’Asp. “Non nascondiamoci dietro ad un dito – dice Manzella – i capi
infetti vanno abbattuti perché la malattia deve essere debellata. Alla
regione, all’asp ed all’interno sistema, però, chiediamo maggiore aiuto
in questo senso e non soltanto da un punto di vista economico ma anche
di ricerca proprio per giungere a debellare la malattia. E’ possibile
che in tanto anni non si sia trovata una cura o un vaccino?”.
“Una vacca vale anche mille euro e questi animali vivono
molto di più della media della loro specie. vivono e producono per 15
anni in media e alcuni arrivano a 20 anni – dicono gli allevatori –
quando viene obbligatoriamente abbattuto un capo il rimborso regionale
va dalle 250 alle 400 euro. La carne, poi, può essere ugualmente
consumata ma essendo l’abbattimento obbligatorio l’animale viene venduto
per pochi soldi. Quando va veramente bene l’allevatore recupera metà
del valore dell’animale e i rimborsi arrivano comunque dopo 3-4 mesi”.
“Un allevatore disonesto -. dice Manzella – potrebbe
dire che la vacca gli è scappata e non farla trovare. i nostri queste
cose non le fanno quasi mai ma subiscono un danno. anche a questo
potrebbe servire l’ufficio unico per la tutela. a garantire loro un equo
rimborso e garantire, in questo modo, alla collettività anche una
maggiore propensione alla collaborazione da parte dell’allevatore. Non
che non collaborino oggi. ma il danno subito in taluni casi risulta
insopportabile per la sopravvivenza degli allevamenti”.
I controlli attualmente sono affidati a veterinari a contratto
e quando un allevamento risulta infetto i controlli sono più frequenti e
stringenti ed i contrattisti maggiormente impegnati nelle verifiche con
costi che crescono anche per il pubblico “debellare la malattia sarebbe
un vantaggio per tutti: allevatori, collettività e circuito economico.
Anche i veterinari potrebbero essere impegnati piuttosto che nelle
verifiche e negli abbattimenti, nelle vaccinazioni e nella cura”.
Nel tempo si sono ipotizzate tante strategie “Si era
parlato di creare stalle di transito per isolare i capi malati da
quelli sani, studiare la malattia e debellarla – conclude Manzella – ma
non se ne è mai fatto nulla. Non so quale possa essere la strategia
migliore. per questo ci sono gli esperti. Ma occorre attivarsi prima che
sia troppo tardi”
Dunque ricerca sanitaria veterinaria, profilassi,
tutela della specie e promozione della specialità potrebbero essere la
strada per salvaguardare la cinisara e con essa l’economia di una intera
area. un ufficio apposito che si occupi di queste cose è la richiesta
avanzata dal territorio alla Regione. una richiesta fino ad oggi rimasta
inevasa.
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