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È una vera e propria «emergenza latte» quella che
Confai Bergamo e l’Osservatorio economico di Confai Academy prevedono a
partire dalla primavera.
«Ci troviamo ormai alla vigilia della fine del regime di
quote di produzione per il settore latte, stabilita dall’Unione Europea
per il 31 marzo 2015 - ricorda Leonardo Bolis, presidente provinciale e nazionale di Confai -.
Come stiamo ricordando da tempo a imprese e istituzioni, ciò comporterà
un inevitabile aumento della produzione nelle regioni dell’Ue in grado
di espandere il proprio potenziale in termini di capi e di impianti.
Mentre in Lombardia e nel Nord Italia dovremo in ogni caso continuare a
fare i conti con i rigidi vincoli della normativa sui nitrati, abbiamo
già sentore che in vari Paesi dell’Europa centro-orientale sono in
previsione investimenti, anche da parte di gruppi multinazionali, per
realizzare significative economie di scala nel comparto lattiero».
In altre parole, i produttori di casa nostra non potrebbero beneficiare dell’aumento della richiesta di latte da
parte del mercato mondiale in quanto frenati dai limiti della normativa
ambientale riguardante il rapporto tra capi allevati e disponibilità di
terreno.
Che cosa potrebbe succedere concretamente in
Bergamasca?
«Prevediamo una fase di grande difficoltà per gli allevamenti di
pianura di dimensione medio-piccola – afferma Enzo Cattaneo, direttore
di Confai Bergamo e segretario generale di Confai Academy -, ovvero di
tutte quelle aziende non in grado di ascendere ad una scala produttiva
che consenta di ridurre i costi e, allo stesso tempo, non avvezze alla
pratica della trasformazione diretta e alla ricerca di un rapporto con
il consumatore finale. Temiamo che anche da noi possa accadere quanto
avvenuto in Svizzera cinque anni or sono, dove l’abolizione del regime
nazionale di regolamentazione delle produzioni ha generato uno stato di
difficoltà delle PMI del settore che tuttora non può dirsi risolto».
Secondo Confai Academy, il contraccolpo post
quote latte potrebbe portare alla chiusura o ad un drastico
ridimensionamento per oltre 250 allevamenti bergamaschi, ovvero quasi un
quarto delle aziende zootecniche della provincia.
Che fare di fronte a questa prospettiva? «Nel
medio periodo occorre ragionare in termini di diversificazione –
sottolinea Bolis -: le aziende ad indirizzo lattiero devono pensare a
mettere un piede anche in altre filiere, utilizzando le provvidenze del
nuovo Psr lombardo. Molto dipenderà anche dall’intervento delle
istituzioni. Abbiamo apprezzato la recente iniziativa dell’assessore
lombardo all’agricoltura, Gianni Fava, a
sostegno dei formaggi Dop. Occorre ora ragionare nei termini di un vero
patto di settore che coinvolga imprese, associazioni, amministrazioni
pubbliche e industria di trasformazione. Neppure a quest’ultima conviene
un indebolimento eccessivo dell’anello produttivo della catena, se non
si vuole rischiare che si verifichi il caos nell’intera filiera con
ripercussioni sulla qualità stessa dei prodotti caseari regionali e
nazionali».
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