martedì 28 ottobre 2014

Da Cremona la via per salvare il latte

Produzioni in crescita, prezzi in fibrillazione continua e stalle che chiudono. Questo lo scenario tratteggiato in occasione della Fiera internazionale del bovino da latte. Ma qualche rimedio è ancora possibile.
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Innovazione, ricerca, sperimentazione, sono queste le parole che con frequenza campeggiavano sugli stand delle aziende espositrici alla recente Fiera internazionale del bovino da latte che si è chiusa a Cremona il 25 ottobre. Agroenergie, sistemi robotizzati per la mungitura, aggiornamenti delle tecnologie costruttive, nuovi indirizzi per l'alimentazione degli animali, largo ricorso all'informatica per il controllo e la gestione della stalla e via di questo passo fra i molti stand che hanno riempito (pur con qualche vuoto, qua e là) il recinto fieristico. E molti i visitatori, anche dall'estero, tutti alla ricerca di una risposta alla necessità di migliorare l'efficienza aziendale e di comprimere i costi di produzione del latte. Perché domani sul mercato potranno resistere soltanto le aziende più efficienti. Le altre, quelle piccole, mal organizzate e con costi alti, hanno le ore contate. Una
realtà dura, ma con la quale bisogna fare i conti.

I numeri

E Cremona questi conti li ha presentati nei molti incontri che si sono svolti nei quattro giorni di svolgimento della fiera. “Numeri” implacabili che non concedono sconti, a iniziare dal costo di produzione del latte in Italia, uno dei più alti in Europa. Un'indagine del Crpa su aziende che destinano il latte alla produzione di Grana Padano ha evidenziato costi di produzione di 55 euro al quintale. Anche nelle aziende più efficienti non si scende sotto i 40 euro. I dati sono del 2013, quando le quotazioni delle materie prime per l'alimentazione era più elevato, ma oggi le cose non sono poi cambiate di molto. Con il prezzo del latte che scivola velocemente sotto quota 40 euro al quintale si prospetta una stagione di produzione sottocosto.

Pronti alla chiusura

Quando il prezzo scende sotto il 90% del costo di produzione, per alcune aziende si apre la prospettiva di una chiusura. Molti allevatori già si preparano a questa eventualità. Lo dimostra una indagine su oltre 300 allevatori, anche questa discussa a Cremona, che nel 26% dei casi si dicono pronti a cessare l'attività. Certo, la colpa non è solo del mercato. In alcuni casi manca un successore alla guida dell'azienda oppure c'è una eccessiva pesantezza della burocrazia o il reddito è talmente basso da non remunerare l'attività. Ma il risultato non cambia. Chi si dice convinto a restare sul mercato, quasi il 40% degli intervistati, è pronto ad aumentare il numero di capi presenti in azienda. Costoro aumenteranno l'efficienza e ridurranno i costi di produzione, ma sarà sufficiente?

Gli altri crescono

Il confronto con le realtà produttive del nord Europa non lascia spazio all'ottimismo. In Irlanda ad esempio, per riportare un caso illustrato proprio a Cremona, le aziende da latte vantano margini di redditività elevata e sono pronte a spingere sull'acceleratore già dal prossimo anno, con la chiusura del regime delle quote latte. C'è chi si prepara persino ad un raddoppio della produzione aziendale. Spinte produttive si registreranno in breve in molti Paesi del Nord europa. Le ipotesi parlano di un aumento di 10 milioni di tonnellate (quanto produce l'Italia in un anno...) distribuiti nella fascia compresa fra Francia e Polonia. Aumenti che avvengono in un'Europa che già è eccedentaria rispetto ai suoi fabbisogni di latte, tanto che tornano a crescere le scorte di burro e di latte in polvere, prima valvola di sfogo delle eccedenze. E le conseguenze si vedono sul prezzo, in caduta sui mercati europei e su quelli mondiali. E domani, nel dopo quote, questa volatilità del prezzo del latte sarà ancora più accentuata.

Il “pacchetto” non basta

Che fare? Per il dopo quote Bruxelles ha predisposto alcuni strumenti contenuti nel “Pacchetto Latte”. Fra questi, accolto con grande favore, la possibilità per i formaggi Dop di “governare” la produzione in funzione della domanda di mercato. Ma nonostante questa possibilità i nostri due grandi Dop, Parmigiano Reggiano e Grana Padano, sono alle prese con una preoccupante caduta dei prezzi. Porre un freno alla produzione, dunque, non mette al riparo dalle cadute del mercato. Ma nel Pacchetto Latte c'è anche altro, come la spinta alla nascita delle Organizzazioni Professionali (OP) e all'interprofessione. Entrambi indispensabili per dare adeguata forza contrattuale ai produttori di latte, altrimenti “schiacciati” fra industria e distribuzione. Ma in Italia le OP nel mondo del latte sono poche e non sempre ben strutturate. Per l'interprofessione siamo poi a quota zero. Un quadro a tinte fosche per la zootecnia italiana da latte, che sembrerebbe senza via di uscita.

I formaggi della salvezza

Ma non tutto è perduto. L'Europa è leader nella produzione di formaggi e le stime sull'evoluzione dei consumi dicono che nel mondo si consumerà più latte, dunque anche più formaggi. E in questo campo l'Italia ha molto da dire. Vantiamo eccellenze uniche e lo dimostra il fatto che oltre il 50% del latte italiano viene destinato alla produzione di formaggi, e nel caso dei prodotti tipici il nostro latte non è sostituibile. Un punto di forza importante, ma da solo insufficiente a dare al settore la svolta necessaria ad affrontare il mercato che verrà. Dove vincerà chi saprà organizzare e aggregare i produttori, un ambito nel quale le organizzazioni professionali dovrebbero svolgere un ruolo guida, a volte trascurato per dare spazio a logiche di bandiera e di campanile. Avere rappresentanze agricole divise e litigiose è però un lusso che la zootecnia non può più permettersi. 

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