Produzioni
in crescita, prezzi in fibrillazione continua e stalle che chiudono. Questo lo
scenario tratteggiato in occasione della Fiera internazionale del bovino da
latte. Ma qualche rimedio è ancora possibile.
Fonte notizia:
Innovazione,
ricerca, sperimentazione, sono queste le parole che con frequenza campeggiavano
sugli stand delle aziende espositrici alla recente Fiera internazionale del
bovino da latte che si è chiusa a Cremona il 25 ottobre. Agroenergie, sistemi
robotizzati per la mungitura, aggiornamenti delle tecnologie costruttive, nuovi
indirizzi per l'alimentazione degli animali, largo ricorso all'informatica per
il controllo e la gestione della stalla e via di questo passo fra i molti stand
che hanno riempito (pur con qualche vuoto, qua e là) il recinto fieristico. E
molti i visitatori, anche dall'estero, tutti alla ricerca di una risposta alla
necessità di migliorare l'efficienza aziendale e di comprimere i costi di
produzione del latte. Perché domani sul mercato potranno resistere soltanto le
aziende più efficienti. Le altre, quelle piccole, mal organizzate e con costi
alti, hanno le ore contate. Una
realtà dura, ma con la quale bisogna fare i
conti.
I numeri
E Cremona
questi conti li ha presentati nei molti incontri che si sono svolti nei quattro
giorni di svolgimento della fiera. “Numeri” implacabili che non concedono
sconti, a iniziare dal costo di produzione del latte in Italia, uno dei più
alti in Europa. Un'indagine del Crpa su aziende che destinano il latte alla
produzione di Grana Padano ha evidenziato costi di produzione di 55 euro al
quintale. Anche nelle aziende più efficienti non si scende sotto i 40 euro. I
dati sono del 2013, quando le quotazioni delle materie prime per
l'alimentazione era più elevato, ma oggi le cose non sono poi cambiate di
molto. Con il prezzo del latte che scivola velocemente sotto quota 40 euro al
quintale si prospetta una stagione di produzione sottocosto.
Pronti
alla chiusura
Quando il
prezzo scende sotto il 90% del costo di produzione, per alcune aziende si apre
la prospettiva di una chiusura. Molti allevatori già si preparano a questa
eventualità. Lo dimostra una indagine su oltre 300 allevatori, anche questa
discussa a Cremona, che nel 26% dei casi si dicono pronti a cessare l'attività.
Certo, la colpa non è solo del mercato. In alcuni casi manca un successore alla
guida dell'azienda oppure c'è una eccessiva pesantezza della burocrazia o il
reddito è talmente basso da non remunerare l'attività. Ma il risultato non
cambia. Chi si dice convinto a restare sul mercato, quasi il 40% degli
intervistati, è pronto ad aumentare il numero di capi presenti in azienda.
Costoro aumenteranno l'efficienza e ridurranno i costi di produzione, ma sarà
sufficiente?
Gli altri crescono
Il
confronto con le realtà produttive del nord Europa non lascia spazio
all'ottimismo. In Irlanda ad esempio, per riportare un caso illustrato proprio
a Cremona, le aziende da latte vantano margini di redditività elevata e sono
pronte a spingere sull'acceleratore già dal prossimo anno, con la chiusura del
regime delle quote latte. C'è chi si prepara persino ad un raddoppio della
produzione aziendale. Spinte produttive si registreranno in breve in molti
Paesi del Nord europa. Le ipotesi parlano di un aumento di 10 milioni di
tonnellate (quanto produce l'Italia in un anno...) distribuiti nella fascia
compresa fra Francia e Polonia. Aumenti che avvengono in un'Europa che già è
eccedentaria rispetto ai suoi fabbisogni di latte, tanto che tornano a crescere
le scorte di burro e di latte in polvere, prima valvola di sfogo delle
eccedenze. E le conseguenze si vedono sul prezzo, in caduta sui mercati europei
e su quelli mondiali. E domani, nel dopo quote, questa volatilità del prezzo
del latte sarà ancora più accentuata.
Il
“pacchetto” non basta
Che fare?
Per il dopo quote Bruxelles ha predisposto alcuni strumenti contenuti nel
“Pacchetto Latte”. Fra questi, accolto con grande favore, la possibilità per i
formaggi Dop di “governare” la produzione in funzione della domanda di mercato.
Ma nonostante questa possibilità i nostri due grandi Dop, Parmigiano Reggiano e
Grana Padano, sono alle prese con una preoccupante caduta dei prezzi. Porre un
freno alla produzione, dunque, non mette al riparo dalle cadute del mercato. Ma
nel Pacchetto Latte c'è anche altro, come la spinta alla nascita delle
Organizzazioni Professionali (OP) e all'interprofessione. Entrambi
indispensabili per dare adeguata forza contrattuale ai produttori di latte,
altrimenti “schiacciati” fra industria e distribuzione. Ma in Italia le OP nel
mondo del latte sono poche e non sempre ben strutturate. Per l'interprofessione
siamo poi a quota zero. Un quadro a tinte fosche per la zootecnia italiana da
latte, che sembrerebbe senza via di uscita.
I formaggi
della salvezza
Ma non
tutto è perduto. L'Europa è leader nella produzione di formaggi e le stime
sull'evoluzione dei consumi dicono che nel mondo si consumerà più latte, dunque
anche più formaggi. E in questo campo l'Italia ha molto da dire. Vantiamo
eccellenze uniche e lo dimostra il fatto che oltre il 50% del latte italiano
viene destinato alla produzione di formaggi, e nel caso dei prodotti tipici il
nostro latte non è sostituibile. Un punto di forza importante, ma da solo
insufficiente a dare al settore la svolta necessaria ad affrontare il mercato
che verrà. Dove vincerà chi saprà organizzare e aggregare i produttori, un
ambito nel quale le organizzazioni professionali dovrebbero svolgere un ruolo
guida, a volte trascurato per dare spazio a logiche di bandiera e di campanile.
Avere rappresentanze agricole divise e litigiose è però un lusso che la
zootecnia non può più permettersi.
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