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ABRUZZO. Si torna a parlare dopo alcuni anni di silenzio di diffusione
di malattie tra gli allevamenti anche abruzzesi.
Da ultimo ha fatto notizia la diffusione di tubercolosi con alcuni
provvedimenti a carico di taluni allevatori che non avrebbero seguito le
prescrizioni di legge.
La cosa però suona strana a Dino Rossi, responsabile di Cospa Abruzzo,
l’associazione di allevatori che non ci sta a prendersi colpe quando sono molte
le cose che non tornano.
«È il caso di dire basta a false accuse», dice Rossi, «accusare sempre
gli allevatori per la diffusione di malattie infettive, è diventato di moda
nella nostra regione, ma c’è chi per anni, con i soldi pubblici ha infettato
gratuitamente il nostro patrimonio zootecnico e le nostre montagne. Qualche
tempo fa in Abruzzo e più precisamente alle pendici del Gran Sasso, proprio nel
cuore del parco, ci sono stati casi di carbonchio. Tutto è stato secretato,
nessuno ne ha parlato, ma intanto i
vitelli morivano di carbonchio. Forse è una
coincidenza, ma in quel periodo sono stati reintrodotti cervi e caprioli
provenienti dall’est Europa, in barba al regolamento sulla introduzione della
fauna selvatica, animali mai esistiti prima su tutto il territorio abruzzese».
Secondo il Cospa gli animali reintrodotti non sarebbero stati
adeguatamente controllati e per questo avrebbero importato sul territorio anche
virus mai registrati prima.
Anche perché il Cospa ricorda che gli animali portati in alpeggio
devono seguire un rigido protocollo di controllo da parte della Asl che poi
lascia il via libera al pascolo.
Dunque –si domanda il Cospa- se gli animali partono sani dove
contraggono i virus?
«Noi diciamo che sono infetti gli animali selvatici del parco, mai
monitorati e mai testati per le malattie infettive», spiega Rossi, «I parchi si
limitano solo alla reintroduzione della specie, peraltro non autoctona, come
prevede il regolamento. Se per gli animali domestici esistono profilassi cosi
rigide, lo stesso dovrebbe essere perla fauna rintrodotta, anche questi animali
devono avere le documentazioni sanitarie idonee: o no? A questo punto, per il
bene del patrimonio zootecnico e perché no, anche della fauna selvatica,
sarebbe opportuno verificare se la documentazione sanitaria di tutte le aree
protette, a supporto della introduzione della fauna selvatica al fine di
verificare che gli incartamenti rispettino le normative sanitarie vigenti sul
nostro territorio nazionale. Principalmente c’è bisogno di monitorare la fauna
selvatica di tutti i parchi ricadenti nella nostra regione».
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