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Le conclusioni sono inevitabilmente legate
all’imminente abolizione del sistema delle quote latte. Menghi, sulla base degli esiti di un sondaggio effettuato in oltre 300 stalle, ha spiegato che oltre un terzo (37%) degli allevatori di casa nostra è intenzionato ad aumentare la produzione, nonostante la mossa potrebbe rivelarsi non vincente in quanto “il prezzo del latte italiano con ogni probabilità non saprà rivelarsi competitivo”. Viceversa, più di un quarto (26%) è praticamente certo di abbandonare l’attività in tempi brevi per tre ordini di ragioni: la mancanza di una successione all’interno dell’azienda (41%), gli effetti stritolanti della burocrazia (31%) e l’insufficiente redditività (19%). “A scegliere di implementare la produzione – ha spiegato Menghi – sono soprattutto le realtà di medio-grandi dimensioni, per le quali il potenziale di crescita stimato si aggira intorno al 10%”. Comunque poco, rispetto allo sviluppo previsto per le aziende irlandesi (+30/35%) e tedesche (+15%): basti dire nei Paesi del Nord-Ovest si attende per il 2015 “un incremento pari a 10 milioni di tonnellate, tanto quanto l’intera produzione annua italiana”. Quasi certamente quel “surplus di latte” è destinato a riversarsi soprattutto nella zona mediterranea, “in particolare in Spagna, Grecia e Italia”.
all’imminente abolizione del sistema delle quote latte. Menghi, sulla base degli esiti di un sondaggio effettuato in oltre 300 stalle, ha spiegato che oltre un terzo (37%) degli allevatori di casa nostra è intenzionato ad aumentare la produzione, nonostante la mossa potrebbe rivelarsi non vincente in quanto “il prezzo del latte italiano con ogni probabilità non saprà rivelarsi competitivo”. Viceversa, più di un quarto (26%) è praticamente certo di abbandonare l’attività in tempi brevi per tre ordini di ragioni: la mancanza di una successione all’interno dell’azienda (41%), gli effetti stritolanti della burocrazia (31%) e l’insufficiente redditività (19%). “A scegliere di implementare la produzione – ha spiegato Menghi – sono soprattutto le realtà di medio-grandi dimensioni, per le quali il potenziale di crescita stimato si aggira intorno al 10%”. Comunque poco, rispetto allo sviluppo previsto per le aziende irlandesi (+30/35%) e tedesche (+15%): basti dire nei Paesi del Nord-Ovest si attende per il 2015 “un incremento pari a 10 milioni di tonnellate, tanto quanto l’intera produzione annua italiana”. Quasi certamente quel “surplus di latte” è destinato a riversarsi soprattutto nella zona mediterranea, “in particolare in Spagna, Grecia e Italia”.
La deficitaria situazione italiana è dovuta essenzialmente ai
proibitivi costi di produzione: su un campione di 33 aziende il Centro
Ricerche Produzioni Animali ha calcolato un costo totale medio di 55
euro al quintale. Un valore troppo alto per consentire una sufficiente
marginalità. La conseguenza è “il concreto rischio di chiusura delle
aziende in un prossimo futuro” ha chiosato Menghi con tono secco.
La tendenza delineata corrobora il quadro tracciato dall’irlandese
Tom Dunne, vicepresidente dell’European Dairy Farmers, organizzazione
indipendente che accorpa 350 tra i migliori allevatori del vecchio
continente: “In Italia gli input di capitale sono i più elevati in
Europa, mentre in termini di utili è l’Irlanda a collocarsi al top”. Nel
‘post quote latte’ la situazione italiana potrebbe persino peggiorare,
visto che altrove si è già investito in un’ottica di espansione, mentre
nel Belpaese non è stato creato un adeguato numero di OP e non si è
provveduto ad affrontare concretamente il tema dell’interprofessione. Il
messaggio risuona chiaro: occorre prendere esempio dall’Europa per
alimentare la speranza di recuperare un gap fin qui drammatico. A
nche i Paesi più intraprendenti e favoriti dai bassi costi produttivi
non sono, comunque, esenti da rischi: la volatilità dei prezzi e la
discontinuità del mercato, oltre all’instabilità politica di numerose
piazze d’esportazione, rappresentano incognite complesse da decifrare. I
gravi interrogativi che pesano sulle imprese italiane di settore
possono trovare risposte nella costante crescita di domanda globale di
latte: “Sia in Africa che in Cina nei prossimi dieci anni la richiesta
di latte scremato in polvere aumenterà del 50%” ha dichiarato Ronga,
presentando i dati di Ismea. In questo scenario, però, molti players
internazionali si sono attrezzati con tempismo, tanto che l’offerta
mondiale “crescerà di 180 milioni di tonnellate da qui al 2023” con
l’India probabilmente destinata a diventare leader assoluta anche grazie
ad un “incremento della produzione del 51%”.
Per consentire agli operatori professionali di monitorare
l’evoluzione di costi e prezzi, l’Istituto per studi, ricerche e
informazioni sul mercato agricolo ha realizzato l’Osservatorio Latte
alla Stalla: sul sito Ismeaservizi.it, infatti, è ora possibile accedere
a dati costantemente aggiornati e metterli a confronto. Tra l’altro
Ismea fornisce puntualmente anche la Milk Feed Ratio, ovvero
quell’indice che paragona la remunerazione di un chilo di latte rispetto
ad alla stessa quantità di mangime. In questo momento i numeri non
lasciano spazio a dubbi: la stagione attuale rivela pesanti criticità.
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