Il benessere degli animali da reddito è un argomento che sta diventando
sempre più pressante e stringente, a causa del vistoso interesse che
suscita nell’opinione pubblica e per la grande attenzione che i media
gli riservano.
Fonte notizia:

La maggior parte
della popolazione è sempre più sensibile alla causa animalista
probabilmente perché, vivendo principalmente nei grandi centri urbani,
ha perso qualunque contatto con la realtà zootecnica. Di conseguenza,
ignorando totalmente le pratiche d'allevamento, non può che indignarsi
di fronte a certi reportage scandalistici e, in alcuni casi, inizia a
diffondersi un sentimento generale di disapprovazione verso qualunque
pratica di allevamento destinata alla
produzione di alimenti per l'uomo.
A tal proposito si
desidera ricordare, da un lato che l'addomesticazione e l'allevamento
degli animali sono attività legittime dell'uomo, il quale se ne serve
per svariati scopi, come ricavarne cibo, sostentamento e reddito, ma
anche compagnia e divertimento; dall'altro che il Trattato di Lisbona (13
dicembre 2007), riconoscendo gli animali quali “esseri senzienti”,
impegna l'Unione e gli Stati membri a rispettarne le esigenze in materia
di benessere e ad allevarli senza recar loro sofferenze, fatte salve
“le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli
Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le
tradizioni culturali ed il patrimonio regionale” (versione consolidata,
Parte Prima, Titolo II, articolo 13).
Non è più accettabile
Non si può comunque
negare che i tempi siano cambiati e che la percezione stessa che tutti
noi abbiamo degli animali sia decisamente mutata. La zootecnia e con
essa lo stile di vita di chi fa allevamento si sono evoluti: pertanto
non è più oggettivamente accettabile che gli animali siano allevati in
condizioni non idonee.
In questo contesto va
ricordato il duplice ruolo del medico veterinario, che se da una parte
deve garantire il benessere degli animali e impedire che questi vengano
allevati in condizioni di sofferenza, dall'altra, ma non in antitesi,
deve salvaguardare la sicurezza alimentare e la salute pubblica. Questo
concetto s'inserisce nel nuovo approccio europeo di sicurezza alimentare
“dalla terra alla tavola” (Reg.178/2002), che considera la catena
alimentare un tutt'uno con la produzione primaria, introducendo il
principio di responsabilità anche per l'allevatore.
Inoltre è sempre più
veritiera l'affermazione per la quale animali sani e allevati in buone
condizioni igienico-sanitarie producano meglio e di più. Fattori di
stress e condizioni di scarso benessere potrebbero avere come
conseguenza una maggiore predisposizione degli animali alle patologie e
ciò potrebbe diventare un rischio per i consumatori, come ad esempio nel
caso delle più diffuse tossinfezioni alimentari, causate da Salmonella spp., Campylobacter spp. ed E. coli (fonte: Efsa).
Nella “condizionalità” Ue
Nella “condizionalità” Ue
Il nesso tra
benessere animale e salute animale è stato espressamente riconosciuto
dal Regolamento Ue 882/2004 sul controllo dei mangimi e degli alimenti,
il quale sottolinea che la salute e il benessere animale sono importanti
fattori che contribuiscono alla qualità e alla sicurezza del prodotto
alimentare, alla prevenzione della diffusione delle malattie animali,
nonché al tentativo di perseguire un trattamento etico degli animali da
reddito.
Nella nuova “Strategia per la Salute degli Animali (2007-2013)” dell'Unione europea si legge inoltre: «il concetto di salute degli animali comprende
non solo l'assenza di malattie ma anche il rapporto critico tra la
salute degli animali ed il loro benessere e costituisce un pilastro
della politica comunitaria per la salute pubblica e la sicurezza
alimentare». Uno degli obiettivi della “strategia” è infatti quello di
«promuovere le pratiche di allevamento e il benessere degli animali per
prevenire le minacce collegate alla salute degli anima-li».
Se da un lato la
Comunità europea ha previsto in materia alcune disposizioni minime di
legge, che devono essere rispettate da tutti, pena l'applicazione di
sanzioni, dall'altro ha aperto la strada ad una politica di tipo
incentivante nella speranza di soddisfare sempre più l'obiettivo
primario, cioè salvaguardare il benessere degli animali da reddito. Un
esempio è stato l'introduzione dei requisiti minimi di benessere nei
Criteri di gestione obbligatori (Cgo) della “condizionalità”,
indispensabili per poter accedere, da parte dell'allevatore, ai
contributi finanziari della Politica agricola comunitaria (Pac).
L'indicazione in etichetta
L'indicazione in etichetta
Il benessere animale
si trasforma, pertanto, in garanzia di sicurezza alimentare prima e di
qualità poi. Già nel 2009-2010 è stato pubblicato il Parere del Cese
(Comitato economico e sociale europeo) in merito all'etichettatura
relativa al benessere, il quale introduce la possibilità di riportare
sull'etichetta di un prodotto di origine animale la provenienza da
allevamenti “certificati”, che soddisfino requisiti di benessere
superiori a quelli minimi stabiliti per legge. Il benessere animale
avrebbe così un significato in più, e in altre parole, potrebbe
rappresentare un valore aggiunto al prodotto di qualità, trasformandosi
in un'opportunità per sostenere il reddito degli allevatori.
Allevare in
condizioni superiori di benessere animale potrebbe però implicare costi
superiori e questi, a loro volta, potrebbero diventare un ostacolo
all'inizio del processo. Diventa pertanto necessario investire
nell'informazione corretta e trasparente sia degli allevatori che dei
consumatori, relativamente alle caratteristiche dei prodotti ottenuti
nel rispetto del benessere degli animali e dell'ambiente, garantendo in
questo modo l'incontro fra domanda e offerta. “Tale
sistema di etichettatura, infatti, si deve ripercuotere positivamente
sull'insieme della catena di approvvigionamento fino al produttore
primario, che potrà ottenere un supplemento di prezzo per i suoi
prodotti e recuperare in tal modo un eventuale aumento dei costi di
produzione”.
Recenti ricerche di
mercato a livello europeo (Eurobarometer 2005) hanno del resto
evidenziato quanto sia importante per i cittadini europei la protezione
degli animali: l'82% degli intervistati sottolinea, infatti, il dovere
di proteggerli, qualunque sia il costo da sostenere, ed in generale
molti di loro affermavano di essere disposti a pagare un prezzo più
elevato per i prodotti alimentari provenienti da sistemi di allevamento
rispettosi del benessere animale.
Tuttavia, poiché il
quadro normativo di riferimento non è stato ancora completato, non
esistono tuttora, in Italia, standard di valutazione adeguati per una
corretta etichettatura e per predisporre un sistema di certificazione
accreditato.
Pertanto, a
tutt'oggi, quando il consumatore italiano si trova di fronte allo
scaffale del supermercato, non potendo ottenere alcuna informazione
chiara e trasparente circa queste tematiche, viene sostanzialmente
influenzato solamente dal prezzo o dalle caratteristiche direttamente
verificabili del prodotto, condizionando così inconsapevolmente il
mercato verso una produzione che, per ridurre i costi, investe sulla
quantità e non sulla qualità.
Il caso delle uova
Il caso delle uova
Precedenti esperienze
hanno evidenziato che una corretta informazione può fare la differenza.
Per esempio, nel settore della commercializzazione delle uova da
tavola, l'apposizione obbligatoria di termini specifici riferiti
alla tipologia del sistema di produzione (uova di gallina da
allevamento in gabbie, a terra, all'aperto, uova biologiche), unitamente
ad una massiccia campagna mediatica e pubblicitaria, hanno comportato
un cambiamento nelle abitudini dei consumatori, che sono passati
dall'acquisto di uova prodotte in gabbia a uova prodotte con sistemi
alternativi, favorendo un aumento significativo della produzione di uova
“non in gabbia”.
Al riguardo, però,
non va trascurato che dal 1° gennaio 2012 vige il divieto di allevare le
galline ovaiole in gabbie tradizionali, mentre è consentito l'utilizzo
di gabbie cosiddette “attrezzate” o “arricchite”, dotate al loro interno
di maggiori spazi e strumenti che consentano agli animali di
manifestare parte del proprio repertorio comportamentale.
E il biologico cresce
E il biologico cresce
Un altro esempio
giunge dall'andamento economico del settore biologico: l'introduzione di
un marchio europeo in etichetta, che assicuri la conformità del
prodotto ai Regolamenti EU sull'agricoltura biologica (Reg. CE 834/2007 e
889/2008) e la realizzazione di forti campagne informative, hanno
incentivato l'acquisto di tali prodotti, sebbene il loro prezzo sia più
elevato. Nonostante la crisi economico-finanziaria, il mercato italiano
per il biologico sta continuando a crescere, confermando una dinamica
positiva in atto da diversi anni. I dati Ismea per il primo semestre
2013 (dati del Panel Famiglie Gfk-Eurisko), infatti, riportano una
crescita della cosiddetta “spesa bio” (per i prodotti confezionati)
dell'8,8%.
In Europa esistono
già alcuni esempi di “etichettatura” riferita alle condizioni di
benessere dell'animale. Essi derivano dall'introduzione, da parte di
alcune filiere private, di particolari standard produttivi rispettosi di
condizioni di allevamento particolarmente favorevoli. Tali standard
sono stati definiti ancora prima che la legislazione li prevedesse, come
risposta alla domanda dei consumatori soprattutto nord-europei.
Label Rouge e Freedom Food
Label Rouge e Freedom Food
Alcuni esempi di
queste realtà, per citare le più famose, sono Label Rouge in Francia e
Freedom Food nel Regno Unito. Il primo sistema riguarda l'allevamento
avicolo, in cui vengono allevati soggetti discendenti da razze rustiche a
lenta crescita. Questi animali sono allevati rispettando alcuni
requisiti fondamentali, tra cui spazi adeguati per razzolare liberamente
durante il giorno, basse densità di allevamento e presenza di luce
naturale.
Freedom Food,
invece, è uno dei pochi sistemi, studiati e sviluppati dalla “Royal
Society for the Prevention of Cruelty to Animals” (Rspca), dove le
pratiche di allevamento intensivo applicate dalle migliori aziende
zootecniche devono al contempo essere rispettose di molti parametri che
tutelano le principali esigenze di benessere. Tali standard riguardano
l'allevamento di broilers all'aperto o in capannoni, galline ovaiole,
vacche da latte, bovini ed ovini da carne e anche del salmone.
L'attuazione e il rispetto di queste procedure da parte di tutta la
filiera (allevamento, trasporto, macello), sono verificate da organi
esterni indipendenti, attraverso programmi di “auditing” promossi dalle
industrie di trasformazione, dai commercianti e dalle società
multinazionali. I prodotti che appartengono a questa catena produttiva
sono facilmente identificati dal consumatore attraverso un marchio
apposto in etichetta.
Va sottolineato che
il marchio Freedom Food è stato depositato nel 1994, mentre in Italia
gli allevatori e l'industria alimentare ancora stentano ad assecondare
questo desiderio del consumatore e dunque a trarre profitto dalla
richiesta di prodotti ad alto livello di benessere e di qualità.
Solidi presupposti scientifici
Solidi presupposti scientifici
In tal senso
ricordiamo che gli studi di fattibilità, riportati nella Relazione della
Commissione Europea, dimostrano che «l'etichettatura avrà gli effetti
desiderati se: a) i consumatori saranno adeguatamente informati sul
significato dell'etichetta; b) le informazioni fornite saranno
facilmente comprensibili; c) i consumatori saranno interessati a
disporre di queste informazioni per le loro decisioni d'acquisto; questo
sembra essere il caso dei prodotti provenienti da sistemi di
allevamento con elevati standard di benessere animale».
Rimane, però, un
punto imprescindibile, che la stessa Relazione prevede: per essere
etichettabile, la valutazione del benessere dovrà avere solidi
presupposti scientifici, che oggi, grazie all'attività della ricerca
europea (es. pareri dell'Efsa e progetto di ricerca Welfare Quality®)
sono disponibili quale base per lo sviluppo di nuovi sistemi d'analisi.
Disposizioni normative minime
Disposizioni normative minime
L'articolo 13 del
trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (C115/4 versione
consolidata del 9/5/2008) riconosce gli animali in quanto esseri
senzienti e stabilisce che, nella formulazione e nell'attuazione di
alcune politiche dell'Ue, si tenga pienamente conto delle esigenze in
materia di benessere animale.
Per questa ragione
sono state emanate alcune normative, cosiddette “orizzontali”, che
definiscono gli standard minimi obbligatori per la protezione di tutte
le specie allevate (Direttiva 98/58/CE recepita in Italia con il D. L.vo
146/2001), con aspetti specifici in materia di trasporto (Reg. CE
1/2005) e di abbattimento (Reg. CE 1099/2009 in vigore dal 1.1.2013).
Solo per determinate specie e tipologie di allevamento (vitelli, suini,
galline ovaiole e polli da carne) sono invece definite prescrizioni
“verticali” specifiche minime.
Per la specie bovina,
sono state emanate norme precise (Decreto Legislativo 7 luglio 2011, n.
126, attuazione della Direttiva 2008/119/CE che stabilisce le norme
minime per la protezione dei vitelli), che regolano l'allevamento dei
vitelli fino ai 6 mesi di vita mentre, per quanto riguarda l'animale
adulto (oltre 6 mesi di vita), non esistono normative specifiche da
rispettare e al riguardo valgono i criteri generali stabiliti dal D.
L.vo 146/2001. Entrambi i decreti citati fissano, per certi aspetti
delle indicazioni molto generiche ed interpretabili, mentre per altri
pongono dei limiti nelle strutture o nelle pratiche di management molto
rigidi e precisi.
Del 2009 l'ultimo testo Ue
Del 2009 l'ultimo testo Ue
A livello
comunitario, i tentativi di legiferare nel campo dell'allevamento del
bovino adulto non sono mancati, ma non è stato possibile raggiungere
nulla di definitivo: risale, infatti, al 24 settembre 2009 l'ottava ed
ultima bozza in Consiglio Europeo della normativa sul benessere bovino
(“Draft revised Recommendations concerning cattle”).
Questa bozza
normativa contiene 24 articoli raggruppati in 5 parti: disposizioni
generali; preparazione degli operatori di stalla e ispezione degli
animali; recinzioni, alloggi e attrezzature; management e gestione
dell'allevamento e infine una serie di prescrizioni generiche sulla
selezione genetica, le mutilazioni, la macellazione d'urgenza e
l'attività di ricerca.
Tutte
queste difficoltà, nel formulare una specifica legislazione che tuteli
il benessere del bovino adulto, nascono dal fatto che in Europa esistono
moltissime tipologie di allevamento che si differenziano per il destino
del prodotto finito (latte o carne) o per il tipo di stabulazione
(fissa, libera, al pascolo); ognuna con diverse caratteristiche
strutturali e gestionali, con migliaia di variabili radicate in una
cultura secolare, e per questo impossibili da regolamentare in un'unica
normativa, completa e definitiva, che garantisca la tutela del benessere
dell'intera popolazione bovina europea. Pertanto, l'intento di definire
limiti e condizioni si scontra con l'eterogeneità dei sistemi di
allevamento, con le differenze climatico-geografiche degli Stati Ue, con
le ancora insufficienti conoscenze scientifiche e quindi con il rischio
di penalizzare ingiustamente certe situazioni a favore di altre,
provocando, sul comparto, un importante impatto politico-economico.
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