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L'Italia produce circa 10-11 milioni di tonnellate all’anno di latte
ma, per accordi “europei”, ne deve produrre meno di quanto potrebbe per
permettere ai produttori di altri paesi di esportare una parte del loro
latte in Italia (circa 8 milioni di t/anno) come latte fresco o
“contenuto” nei prodotti lattiero-caseari. Così succede che mentre la
produzione comunitaria accelera, le nostre stalle spingono sul freno.
Il Sian, il sistema informativo agricolo nazionale che fa capo ad Agea, ha reso noti i dati della produzione di latte del primo mese del 2014. Le consegne rettificate (tengono conto di alcuni parametri per il conteggio delle quote latte) si sono fermate a 8,85 milioni di tonnellate, confermando così il trend al ribasso della produzione italiana di latte.
Il Sian, il sistema informativo agricolo nazionale che fa capo ad Agea, ha reso noti i dati della produzione di latte del primo mese del 2014. Le consegne rettificate (tengono conto di alcuni parametri per il conteggio delle quote latte) si sono fermate a 8,85 milioni di tonnellate, confermando così il trend al ribasso della produzione italiana di latte.
Non è così negli altri paesi dell’Unione, dove al contrario si consolida il trend di crescita
già evidente
nei mesi scorsi. La produzione a gennaio 2014 è cresciuta
di 12 milioni di tonnellate rispetto allo stesso mese del 2013. Un
incremento del 4,6% che imprime un’accelerazione alla tendenza già in
atto. Il confronto fra il periodo compreso fra aprile 2012 e gennaio
2013 (116 milioni di tonnellate) con l’analogo periodo fra il 2013 e
quest’anno (118,4 milioni di tonnellate), evidenzia un incremento del 2,1%.
Fra i Paesi dove si registra la maggior crescita figurano il Regno
Unito (in gennaio +11,4%) e la Polonia (+7,3%). Se si guarda alle
produzioni cumulate da aprile a gennaio 2014, gli aumenti più importanti si incontrano nei Paesi Bassi (10,2 milioni tonnellate, +6,1%), da sempre grandi esportatori.
Il latte è una emulsione, cioè una fine dispersione in acqua, di
circa il 3 – 3,5 per cento di grasso col 4 – 5 per cento di zuccheri e
sali minerali e con circa il 3 per cento di proteine. Queste ultime sono
in parte caseine, poco solubili in acqua, e in parte albumine o
sieroproteine, solubili in acqua. Nel latte appena munto le
sieroproteine rappresentano circa il 18 per cento delle proteine totali;
tale percentuale diminuisce se il latte è stato trattato col calore e
diminuisce in proporzione alla intensità del trattamento termico che le
fa diventare sempre meno solubili in acqua. Ad esempio, in un latte di
buona qualità che ha subìto una sola pastorizzazione, il trattamento
inventato dal grande chimico francese Louis Pasteur
(1822-1895), per uno o due secondi a 72 gradi le sieroproteine solubili
diminuiscono dal 18 al 16 per cento rispetto alle proteine totali.
Ma se il latte è pastorizzato a temperature più elevate o per tempi
più lunghi, come è necessario quando la carica microbica iniziale è
alta, o quando il latte è stato munto alcuni giorni prima o ha
affrontato un lungo viaggio, allora le sieroproteine solubili scendono
anche al di sotto del 10 per cento. Nel latte sterilizzato, trattato ad
alta temperatura, la denaturazione delle sieroproteine è maggiore e
quelle solubili diminuiscono anche al 5 %, sempre rispetto alle proteine
totali.
Una proposta. Ma le proteine sono importanti non
solo come indicatori della qualità, ma soprattutto perché sono ricche di
amminoacidi essenziali e hanno quindi un alto valore nutritivo. Circa
due terzi del latte consumato in un anno in Italia (con un contenuto di
circa 350.000 tonnellate di proteine) viene avviato alla produzione di
burro e formaggio; in questa trasformazione agro-industriale da 50 a 100
mila tonnellate all’anno di preziose proteine finiscono nel siero, il
sottoprodotto in parte scaricato nell’ambiente e fonte di inquinamento, e
in parte usato per l’alimentazione del bestiame. Non varrebbe la pena
di investire tempo e soldi nelle ricerche per recuperare ogni
chilogrammo possibile di proteine del latte, per progettare nuove forme
di integrazione proteica dei cibi poveri ? Ci sarebbe lavoro per noi,
minore inquinamento, un po’ meno affamati e un po’ più di solidarietà.
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