Lattiero-caseario, cambiare strategia per uscire dalla crisi
Latte e formaggi reggono
l'impatto con la "spending review" familiare: le vendite restano
stabili. Ma per rilanciare il settore è necessario cambiare l'approccio
dei produttori
Fonte notizia:
Nel giro di un anno il latte spot in Italia ha perso il 29,2% in valore. A livello comunitario, il latte alla stalla ha perso l’8,5%,
mentre negli Stati Uniti le quotazioni sono passate nel giro di 12 mesi
da 33,47 a 44,01 euro/100 kg, con un balzo in avanti del 31,5 per
cento. Accelerazioni e decelarazioni che devono far riflettere, in un mondo
globalizzato come quello del latte, dove la velocità e i rovesciamenti
di fronte sui mercati è piuttosto rapida e non sempre prevedibile.
Spostando l’attenzione sull’Europa e sull’Italia in particolare, la
questione si complica per l’incertezza delle dinamiche post-quote latte. Alcuni Paesi del blocco nord europeo si stanno preparando per incrementare le produzioni.
Intanto, da un’indagine di Assolatte su dati Nielsen, emerge che il mercato italiano dei latticini e dei formaggi freschi
regge l’impatto della “spending review” attuata dalle famiglie
italiane. Nell’ultimo anno, infatti, le vendite di formaggi
confezionati, realizzate nella distribuzione moderna italiana sono sostanzialmente stabili (-0,3% a volume e +0,2% a valore), seppure con una disomogeneità territoriale.
Il Sud evidenzia un trend controcorrente rispetto alla
flessione degli acquisti alimentari. I consumatori del Mezzogiorno,
infatti, hanno comprato il 2,5% in più di formaggi e latticini freschi e
l’1,2% in più di formaggi spalmabili, aumentando la spesa
rispettivamente del 2,7% e dell’1,4 per cento.
Latticini e formaggi freschi registrano una performance positiva, in particolare, in due tipologie specifiche: il mascarpone (+5,5% a volume) e la mozzarella
(+3,5% in quantità), con quest’ultima che incontra un forte gradimento
anche al Nord, visto che il 33% dei consumi si concentra tra Piemonte,
Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria.
E il distretto del Nord-Ovest assorbe quasi il 39% di
tutta la ricotta venduta in Italia (+2,3% a volume), mentre il 23,4% di
tutti gli acquisti di ricotta realizzati nella distribuzione moderna
italiana afferisce al Centro (+0,5% a volume).
Il Nord Est invece sembra preferire i formaggi cremosi,
con crescenza, stracchino, formaggi freschi e spalmabili fra le
categorie con il miglior trend di vendita: +1,4% la crescita per
crescenza e stracchini, +3,3% l’incremento dei freschi e +3,6% per i
freschi spalmabili. Questi i numeri registrati fra Emilia-Romagna,
Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.
Elementi che portano AgroNotizie a una considerazione sul sistema
Italia. Perché si rende necessario, fra incertezza del prezzo del latte
(con il negoziato fra le parti interrotto e l’appello dell’assessore
all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, al ministro Martina finora
rimasto inascoltato), la concorrenza europea, il crollo dei mercati
delle principali Dop a pasta dura, cambiare forse strategia.
Serve un approccio diverso da parte dei produttori,
perché forse un eccesso di produzione non conviene. Il rischio è che il
prezzo della materia prima scenda ulteriormente e questo preoccupa anche
l’industria di trasformazione, perché il rischio è che le stalle
chiudano.
Diventa necessario promuovere il made in Italy nel suo complesso,
esattamente come stanno facendo i francesi con il loro agroalimentare.
Sia le produzioni Dop che, allo stesso tempo, i formaggi a pasta molle, i
semi-stagionati, senza escludere nessuno. Il latte italiano, di
qualità, è la chiave per grandi ed eccellenti formaggi, ma quello che
serve, per non appesantire il mercato, è che gli allevatori rimangano informati sui flussi produttivi, direttamente o tramite le op, come si deduce da Clal.
Il rischio è quello di subire un deprezzamento pesante,
con riflessi ribassisti anche sulle filiere a denominazione d’origine,
sulle quali converge oltre il 50% del latte italiano. E non si può
comunicare una eccellenza a poco più di 6 euro al chilogrammo.
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