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Foto tratta da: "euronews.com" |
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Dunque ne stanno facendo le spese
esportatori di scarpe, di prodotti agricoli e gastronomici, di olio
d’oliva, di mobili. Per i quali è già scattata la concorrenza più o meno
sleale del Medio Oriente, del Sudafrica, ma anche di paesi della stessa
Ue meglio attrezzati o più furbi di noi. Il presidente dell’Ice afferma
che il suo istituto si batte “con veemenza, notte e giorno” per
contenere i danni. E punta il dito contro le banche colpevoli di non
sostenere adeguatamente l’export di queste piccole e medie imprese, per
non avere rogne in un paese complesso come la Russia, dove la burocrazia
in entrata è saldamente controllata dal governo.
Eppure ai tempi del regime sovietico
l’Italia era presente in Russia non solo con le automobili assemblate in
luogo dalla Fiat, ma con tecnologia e beni di consumo. Eppure erano gli
anni nei quali sugli scaffali dei grandi magazzini di Mosca e di
Leningrado la gente comune non trovava nulla, mentre l’export italiano
era appetito dalla nomenklatura e dalle aziende: possibile che oggi, con
la liberalizzazione dei mercati, si sia persa quella capacità che
avevamo in piena guerra fredda? Possibile che il governo, con tutti i
soldi che piovono sulle banche a tassi minimi dalla Bce, non convinca i
nostri istituti di credito a fare il loro dovere con le aziende che
nella crisi tengono in piedi l’economia del Paese? Possibile che non ci
riesca la Banca d’Italia, che un tempo esercitava la sua moral suasion?
Ma il caso Russia pone altre domande.
Fin dall’inizio avevamo scritto che le
sanzioni anti-Putin sono sbagliate. Come è noto esse dipendono
dall’atteggiamento autoritario, o peggio, di Mosca verso l’Ucraina:
tralasciando le molte promesse in precedenza fatte e non mantenute
dall’Unione europea e dalla Nato a Kiev (aiuti economici e militari,
ingresso accelerato nella Ue), ma allora perché non estendere le
sanzioni alla Cina, che ignora i diritti umani e che oltretutto ci fa
concorrenza sleale nel commercio e su molti prodotti tutelati? Perché
non sanzionare l’Iran o la Nigeria? In realtà le sanzioni non hanno mai
risolto nulla e quasi sempre si sono rivelate un boomerang per chi le ha
proclamate. La questione Russia è surreale, e rivela in realtà lo stato
confusionale e l’impotenza europea ad affrontare la grandi questioni di
politica internazionale. Come si è visto al G20 di Brisbane,
l’Occidente e l’Europa hanno cercato di dare una lezione al nuovo zar
del Cremlino, isolandolo anche fisicamente: la scena di Putin che alla
cena dei big se ne sta al tavolo solo con la presidentessa del Brasile
Dilma Rousseff, preludio alla partenza anticipata dello stesso Putin, è
il simbolo di fallimento e doppiezza. Poco dopo Angela Merkel si
incontrava a parte con Putin cercando un negoziato separato. La Germania
è il grande cliente di Mosca, e la Cancelliera non è nuova a questo
doppio binario, come si è visto anche al summit di Milano. Tuttavia gli
incontri notturni non hanno prodotto un granché se la Merkel ha poi
dichiarato che la crisi potrebbe estendersi a Moldavia, Georgia, a tutti
i Balcani, alla stessa Serbia, mentre Putin ha minacciato la Germania
che un contro-embargo potrebbe costare almeno 300 mila posti di lavoro
tedeschi.
Nel frattempo Mosca ha siglato l’accordo
trentennale di fornitura di energia alla Cina e ai suoi paesi
satelliti. Sembra di tornare ai tempi della Cortina di Ferro, del mondo
diviso in due blocchi: se non fosse per il fatto che i capitali
economici e finanziari continuano a correre per il mondo, vanno dove
vogliono, e l’Italia è in fila per intercettare i fondi sovrani cinesi.
Senza contare, soprattutto, che se la Russia non se la passa benissimo,
non si può certo dire che l’Europa in recessione o stagnazione sia in
condizione di affrontare una guerra commerciale ed energetica con uno
dei grandi player mondiali. Per non parlare di una guerra militare come
quella minacciata sventatamente dal nuovo segretario della Nato Jens
Stoltemberg, norvegese. E ha fatto benissimo il nuovo ministro degli
Esteri Paolo Gentiloni a dissociarsi da quelle parole irresponsabili.
L’Europa, e l’Italia, hanno già pagato errori macroscopici e
schizofrenia in politica economica. Ora l’Italia pensi a tutelare le sue
piccole aziende, che hanno tenuto in piedi l’export e il lavoro.
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