domenica 1 ottobre 2017

L'insostenibilità degli antimicrobici negli allevamenti

Uno studio su Science valuta l'impatto di una strategia globale contro l'uso eccessivo degli antimicrobici nel settore zootecnico: riducendo il consumo di carne, tassando i farmaci, agendo con norme adeguate. Per contrastare l'antibiotico-resistenza, la più grande minaccia della medicina moderna.
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ERA esattamente un anno fa quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite definì l'uso inappropriato degli antimicrobici negli animali da allevamento una causa principale dell'antibiotico-resistenza, "la più grande minaccia alla medicina moderna", come fu definita in quella sede, e non soltanto, la capacità dei batteri di resistere all'azione dei farmaci. Un anno dopo, su Science un team internazionale di scienziati riflette sulle strategie per abbattere l'uso di antimicrobici nel settore degli animali destinati al consumo umano. Strategie "necessarie", perché la situazione oggi "è semplicemente insostenibile" dicono gli autori. Che valutano l'impatto di tre interventi da mettere in atto a livello globale: regolamentare il limite massimo di farmaci per capo di bestiame per anno, che varia molto da paese a paese, e che comporterebbe una riduzione del consumo di farmaci anche del 64%. Limitare il consumo di proteine animali: basterebbero 40 grammi di carne in meno per persona al giorno per abbattere fino al 66% l'utilizzo degli antimicrobici nel settore della zootecnia (attualmente negli gli Stati Uniti se ne consumano in media 260 di grammi a testa al giorno). Infine, imporre una imposta indiretta sul consumo degli antibiotici veterinari del 50%, che potrebbe ridurne il mercato anche del 31% e generare fino a 4,6 miliardi di dollari annui da destinare allo sviluppo di nuovi farmaci. Insieme queste misure potrebbero ridurre il consumo animale globale di antibiotici fino a un massimo dell'80%.
 
Tre volte tanto. L'uso globale eccessivo, e l'abuso, di antimicrobici negli allevamenti supera il consumo umano di quasi tre volte. Negli Stati Uniti, tanto per dire, quasi l'80% di tutti gli antibiotici vengono somministrati agli animali. E le previsioni non consolano: l'utilizzo incontrollato di farmaci contro le infezioni nella produzione zootecnica potrebbe aumentare a livello mondiale del 53% tra il 2013 e il 2030, come riporta una nota alla pubblicazione su Science.
 
Sostituti a basso costo. "L'escalation nell'uso degli antimicrobici nella produzione di bestiame, soprattutto come sostituto a basso costo di una alimentazione corretta e di condizioni igieniche appropriate è semplicemente insostenibile e sarà devastante per quanto stiamo facendo per preservare l'efficacia degli antibiotici. "Siamo già in crisi (…) è come versare olio sul fuoco", ha detto senza troppi giri di parole Ramanan Laxminarayan, autore senior dello studio e direttore del Center for Disease Dynamics, Economics and Policy di Washington. E in effetti c'è poco da fare giri di parole, perché la crisi c'è ed è di dimensioni notevoli: solo nell'Unione europea ogni anno si stimano 25mila decessi dovuti infezioni resistenti e 1,5 miliardi di euro di spesa. La Review on Antimicrobial Resistance ha stimato che nel mondo, nel 2050, le infezioni batteriche potrebbero causare 10 milioni di morti all'anno, superando i decessi per tumore, con una previsione di costi che va oltre i 100 trilioni di dollari.
 
La classifica e le previsioni. Nel 2013 sono stati utilizzati più di 131mila tonnellate di antibiotici negli animali. Le previsioni sono che entro il 2030 il consumo nel mondo supererà le 200mila tonnellate. Gli attuali cinque principali utilizzatori di antibiotici nella produzione di cibo sono la Cina, con 78.200 tonnellate nel 2013 (59% in più previsto al 2030), gli Stati Uniti, con 9.476 tonnellate (più 22% nel 2030), il Brasile, con 6.448 tonnellate (più 41 per cento nel  2030), l'India con 2.633 tonnellate (più 82% nel 2030), e, prima in Europa, la Spagna con 2.202 tonnellate (più 6% nel 2030). E in Italia? Secondo Legambiente, ogni anno alleviamo 800 milioni di animali, ai quali somministriamo il 71% degli antibiotici venduti nel paese. Una percentuale che pone l'Italia al terzo posto in Europa, dopo la Spagna e Cipro, per consumo di antibiotici destinati agli allevamenti, e che supera di tre volte il consumo della Francia e di cinque volte quello del Regno Unito.

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