Sulla base dei dati Clal
l'Italia è il primo esportatore di formaggi dell'Ue verso gli Stati
Uniti, seguono Francia, Olanda e Spagna. Ma cosa succederebbe se
l'amministrazione a stelle e strisce decidesse di applicare dei
super-dazi?
Fonte:
Se la adozione dei super-dazi sarà un bluff oppure verrà applicata davvero nei confronti di una black list di 90 prodotti provenienti dall'Unione europea, è ancora tutto da vedere.
In teoria i super-dazi dovrebbero essere applicati fino all'ammontare della presunta violazione da parte dell'Europa all'acquisto di un quantitativo ben preciso di carne
di manzo dagli Stati Uniti, pari a un valore di 116 milioni di euro. In
pratica, però, un irrigidimento della Casa Bianca potrebbe mettere in difficoltà il settore agroalimentare,
che negli Usa esporta complessivamente 3,8 miliardi di euro, pari al
10,2% del totale delle esportazioni agroalimentari made in Italy nel
mondo.
Italia primo esportatore di formaggi europei in Usa
Osservando le elaborazioni di Clal.it, portale di riferimento per il lattiero caseario, appare chiaro che l'Italia è il primo esportatore di formaggi
di tutta l'Ue verso gli Usa, con 34.894 tonnellate inviate nel 2016,
pari al +8,1% sul 2015. Alle spalle dell'Italia si colloca la Francia, che nel 2016 ha esportato 23.054 tonnellate di formaggi (+6,8% sul 2015). Seguono l'Olanda (15.073 tonnellate) e la Spagna (10.607 tonnellate).
In termini di valore, l'esportazione di formaggi made in Italy vale 308
milioni di dollari, contro i 305 milioni del 2015. Per la Francia,
invece, i valori si fermano a 169 milioni di dollari, 3 milioni di
dollari in più rispetto al 2015.
(Fonte foto: © Clal.it)
La crescita dell'export di prodotti lattiero caseari
dall'Italia
agli Stati Uniti ha superato il 10% nel 2016 sul 2015,
percentuale che scende di poco (+9,45%) con riferimento al solo codice
doganale dei formaggi.
In termini di valore, l'incremento italiano è stato più cauto: +1,85% complessivamente, contro il +1,78% nei soli formaggi.
(Fonte foto: © Clal.it)
Bene i formaggi a pasta dura
Addentrandosi nella categoria dei formaggi, una performance significativa l'hanno registrata Grana Padano e Parmigiano Reggiano, che con 14.625 tonnellate inviate oltre oceano si godono un incremento dell'8,71% sul 2015.
Se la lente passa invece le coordinate del valore, a fronte di un +4,21%
dei formaggi, i due re della pasta dura Dop hanno portato a casa un
significativo +14,56%.
I dati dell'Unione europea
Nel 2016, l'export di prodotti lattiero caseari dall'Ue-28 verso gli Stati Uniti è cresciuto complessivamente del 9,06%
rispetto all'anno precedente. In particolare, i formaggi hanno
registrato una crescita del 1,54% rispetto al 2015, raggiungendo quota
142.224 tonnellate.
(Fonte foto: © Clal.it)
A valore, lo scenario 2016 segna, dopo un incremento del 3,65% nel 2015,
una flessione dello 0,25%; con riferimento al solo mondo dei formaggi
Ue, la perdita di terreno è del 2,07%. Numeri che, per quanto non siano
lo specchio di un trend esaltante, rilanciano ancora di più l'immagine
del made in Italy lattiero caseario, che regala invece soddisfazioni
agli operatori.
Quali soluzioni?
Terminata la disamina dei numeri, che regala un'analisi oggettiva, ma
forse un po' fredda, è bene spingersi a qualche riflessione più pratica.
Qualora l'amministrazione Usa applicasse i super-dazi, che impatto avrebbero sui nostri prodotti lattiero caseari? Dilagherebbe l'Italian sounding o, tenuto conto che i veri formaggi Dop made in Italy si rivolgono a una platea di consumatori con capacità di spesa medio-alta, un eventuale innalzamento delle tariffe doganali non scoraggerebbe i consumi?
Come difendere le produzioni esportate dall'Italia,
alla luce di un appeal che sembra crescere di anno in anno? Le soluzioni
di comunicazione potrebbero muoversi su due livelli, verso i buyer e
gli utilizzatori professionali dei prodotti e verso i consumatori in
maniera diretta. Campagne pubblicitarie mirate, magari fruibili
direttamente sui telefonini, potrebbero contribuire alla diffusione
delle grandi Dop lattiero casearie e contrastare i "fake".
Potrebbe essere consigliabile la strada dell'aggregazione: industria e cooperazione, ma anche più prodotti made in Italy insieme. Così si avrebbe un impatto maggiore.
Il made in Italy, uno dei brand più conosciuto al mondo, può ampliare il
proprio core business in Europa, ma allo stesso tempo espandersi e
conquistare nuove realtà in altri continenti. Magari partendo proprio
dagli Usa e dall'Asia, sfruttando a proprio vantaggio per le transazioni
internazionali un cambio euro/dollaro più favorevole alla nostra
valuta.
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