venerdì 8 febbraio 2019

Rabobank: “Surplus di latte tedesco, un rischio per gli allevatori italiani”

L’allarme di Coppes, senior analyst dell’Istituto olandese a tu per tu con 50 produttori veneti e lombardi. L’appello di Avanzini (Conad) e Pascarelli (Coop Italia): “Fate squadra per portare le Dop all’estero”
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“Nella Germania del Nord la produzione di latte è aumentata molto rispetto a quella complessiva, creando un surplus in un mercato ormai saturo. Da qualche parte il latte tedesco deve pure andare, e l’Italia non è poi così lontana. I costi di produzione e di trasporto sono peraltro molto competitivi: è chiaro che questo può diventare un problema per gli allevatori italiani”.


A lanciare l’allarme è Peter Paul Coppes, senior analyst di Rabobank, istituto di credito olandese specializzato nel settore alimentare e agricolo, presente in 40 paesi, con 900 uffici, 43 mila persone impiegate e un portafoglio clienti di 24 miliardi di euro solo nel comparto lattiero-caseario, il 16% del fatturato globale della banca. Coppes ha lavorato ovunque, dall’Europa all’Asia fino alla Nuova Zelanda, e l’industria di settore la conosce bene. Da Utrecht, quartier generale di Rabobank, l’analista olandese è arrivato a Sommacampagna, nella provincia veronese, per confrontarsi con una cinquantina di allevatori veneti e lombardi.

L’incontro è solo l’ultimo di una lunga serie di appuntamenti organizzati da Angelo Rossi e dal team di Clal e Teseo, i due siti di riferimento per i produttori agricoli e per le imprese trasformatrici a livello nazionale e globale. Incontro che è stato animato, nella seconda parte, anche da un confronto con due esponenti di punta della Grande distribuzione italiana: Francesco Avanzini, direttore generale operativo Conad, e Renata Pascarelli, direttore qualità Coop Italia. Coppes risponde a tutte le domande degli allevatori, in alcuni passaggi – quelli sul nostro Paese - è meno convincente di altri. E quasi si scusa: “Non conosco molto bene la realtà italiana, però mi occupo del settore lattiero-caseario da 15 anni e capisco le sue dinamiche a livello mondiale”.


E qui l’analista lancia il secondo affondo: “L’Italia è un paese relativamente fortunato – spiega - perché produce formaggi di ottima qualità, come il Parmigiano Reggiano, quindi i produttori sono disposti a pagare di più il latte alla stalla. Il motivo è semplice: possono vendere a prezzi più alti rispetto a chi produce Cheddar o altri tipi di formaggi più commerciali. Però, al di fuori dell’Italia, il Parmigiano Reggiano o altri formaggi Dop non suscitano la stessa emotività tra i consumatori. Io non so nemmeno con quale latte venga prodotto il Parmigiano Reggiano. E probabilmente a molti clienti stranieri nemmeno interessa saperlo. L’importante è che il formaggio sia buono”. Coppes tocca un altro nervo scoperto: la sostenibilità economica degli operatori del settore. “Avere un utile e vivere come un allevatore dipende quasi esclusivamente dalla possibilità di ricevere sussidi comunitari. Perché questa non è un’attività particolarmente redditizia”.


Mercato lattiero-caseario in Italia

Se il problema del comparto si guarda a monte, cioè analizzando il trend dei prezzi del latte alla stalla, emerge chiaramente la differenza dei costi applicati in Italia rispetto a quelli di Germania e Francia: in Lombardia, che detiene il 43% del mercato nazionale del latte, i prezzi si aggirano intorno a 37,34 centesimi/litro contro i 35,88 dei diretti concorrenti della Baviera e Rhône Alpes (Fonte: Clal).

Se invece il problema si guarda a valle, cioè dal lato della distribuzione, si evince che, salvo i prodotti bio e pochi altri, le vendite a valore di latte e derivati sono ormai ferme da alcuni anni nella Gdo. Il trend del mercato lattiero-caseario è in sostanza “flat”: se si escludono i discount e i negozi di prossimità, il giro di affari degli iper e supermercati, cioè l’80% del mercato retail italiano, raggiunge 7,5 miliardi di euro (Fonte: Iri). Un dato sostanzialmente in flessione, confermano gli analisti di settore, per colpa dei latticini in costante decremento da tempo. E in seconda battuta dal calo delle vendite dei formaggi e persino dello yogurt che fino a poco tempo fa aveva registrato a valore segnali di stabilità.


Un capitolo a parte meritano i prodotti Dop: a parte i top player del comparto, l’enorme patrimonio caseario italiano è valorizzato poco o nulla oltre confine, da qui l’appello di Francesco Avanzini (Conad) e Renata Pascarelli (Coop Italia) ai produttori: “Per essere più competitivi e farvi conoscere all’estero, fate squadra com’è accaduto ad altre filiere made in Italy di successo, il vino su tutti”.


La visione di Conad del settore

“In un mercato tendenzialmente saturo, Conad ha avuto una crescita media nel segmento lattiero-caseario vicina al 4%, di poco inferiore alla crescita complessiva dell’insegna (5%) – osserva Avanzini - . Ci siamo riusciti senza partecipare alle aste, a differenza di alcuni nostri concorrenti. La nostra visione si fonda su due aspetti: produzione e impresa italiana, perché siamo fortemente radicati sul territorio. Da oltre 20 anni distribuiamo nei nostri punti vendita solo prodotti caseari italiani, l’80% a marchio”. Avanzini rincara la dose: “Qualcuno c’è arrivato dopo, qualcuno non lo fa ancora. E qualcuno fa finta di farlo. C’è chi ha delle coerenze e chi invece prova a venderle, Conad appartiene al primo gruppo. Lo dico non tanto per un aspetto commerciale, ma perché è un fattore importante soprattutto ora che il mercato alimentare si sta orientando verso un’esplosione dell’italianità”.


Conad lavora storicamente su nicchie e su Dop come Parmigiano Reggiano, Gorgonzola e Mozzarella di Bufala Campana con il brand Sapori e Dintorni (72 referenze complessive, 75 milioni di euro a valore, +5% sul 2017). “Siamo i più grandi venditori in Italia di formaggi da banco con profondità assortimentale”, puntualizza il dg. Da un anno Conad ha accelerato anche sul segmento green, come il biologico, con il marchio Verso Natura (16 referenze, 10 milioni di euro, +63%). “Questo è il business e noi ci siamo dentro – sottolinea Avanzini -: inoltre, stiamo investendo su due marchi, PiacerSi (72 referenze, 74 milioni, +5%) e Alimentum (7 referenze, 9,3 milioni, +19,1%), che spingeremo molto nei prossimi 3 anni. La prima è una linea completa di latticini a ridotto contenuto di grassi, la seconda di prodotti che soddisfano le esigenze dei consumatori intolleranti al lattosio”.


Il concetto di filiera di Coop Italia

“Coop ha investito tanto nelle filiere produttive in questi anni, inclusa quella del latte e dei derivati, perché questo impegno ci dà l’opportunità di avere una serie di garanzie e sicurezze sia rispetto ai prodotti che rispetto alle frodi. Nello stesso tempo, ci consente di essere distintivi all’interno del settore”, spiega Renata Pascarelli. Che cosa intende Coop per filiera? “Un insieme di operatori uniti da un legame contrattuale e coordinati da un capo filiera che li guida a realizzare un prodotto di qualità. Questo processo ci permette di conoscere e gestire tutte le fasi produttive e i punti critici della filiera”, risponde il direttore qualità di Coop Italia. Che due anni fa ha dato vita ad un marchio, Origine, che riporta sull’etichetta le informazioni dei processi produttivi, controllo e garanzie certificate di sicurezza lungo tutto il percorso dell’alimento: a partire dalla fase di produzione e ancora prima, dalla raccolta nei campi, o dall’alimentazione dell'animale da cui deriva la materia prima alimentare, fino al consumo.


“Su queste filiere Coop lavora da oltre 15 anni e controlla ogni singolo passaggio per garantire una tracciabilità totale. In questa direzione, si muove la nostra campagna sul benessere animale e la rimozione degli antibiotici su tutte le filiere dei prodotti della carne e trasformati”, conclude Pascarelli.

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