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È una vicenda esemplare, oltre che di stringente attualità, quella del monensin sodico,
antibiotico ad uso veterinario destinato al mondo degli animali da
reddito e recentemente riammesso al commercio, dopo anni di divieto. Una
vicenda esemplare per capire un po' meglio come funziona il settore
degli allevamenti intensivi (e si badi bene: non parliamo di pochi
"lager" fuorilegge ma di molti degli allevamenti in cui nasce il cibo
consumato ogni giorno da milioni di persone) e per comprendere il ruolo
di molti tecnici, più propensi a offrire soluzioni "preconfezionate" che
a guidare l'allevatore verso una soluzione "accademica" e razionale.
Ed è una storia, anche, quella del monensin sodico, attraverso
cui ribadire che un'alimentazione indiscriminata degli animali da
reddito non può non essere fonte di preoccupazione per i consumatori, e
che solo informandosi e
orientandosi verso produzioni non intensive si
possono fuggire le insidie che una parte dei prodotti industriali
possono portare alla salute pubblica. Ma andiamo con ordine, e cerchiamo
di capire innanzitutto per cosa viene utilizzato questo prodotto.
Il monensin sodico,
presente sul mercato con vari nomi commerciali, è un prodotto
auxinico/probiotico, un antimicrobico in grado di modulare le
fermentazioni ruminali. È stato sviluppato dall'industria veterinaria
per far fronte ad uno dei disordini metabolici della vacca - la chetosi -
molto frequente nelle bovine "spinte" (senza arrivare necessariamente a
quelle da 50 litri di latte al giorno), soprattutto nei primi mesi dopo
il parto.
Come
per ogni problema di ordine metabolico, legato all'alimentazione, il
più naturale intervento sarebbe quello di modificare la dieta delle
bovine, evitando ad esempio gli insilati di scarsa qualità
(caratterizzati da quantità eccessive d'acido butirrico), favorendo,
dopo il parto, l'assunzione di sostanza secca di ottima qualità
(eliminando eventuali rimanenze dei giorni precedenti), macinata
finemente, e introducendo, qualora non siano già previsti, i fioccati.
Inoltre - ed è una logica lampante - si dovrà fare in modo che nella
razione siano presenti farine di cereali a diversa velocità di
fermentazione, così da evitare un eccessivo abbassamento del pH ruminale
(il frumento è più fermentescibile dell'orzo, che lo è più del mais).
Ma tant'è, per molti (troppi) tecnici, è più facile - e più vantaggioso -
spingere per l'accelerazione di certi processi, aggiungendo
all'alimentazione l'intergratore idoneo a "risolvere" il problema,
complice l'allevatore che del tecnico si fida ciecamente ("lui ha
studiato, e le cose le sa!"). Anche se il tecnico spesso, ed è difficile
non immaginarlo, ha tanti e tali interessi (con mangimisti, case
farmaceutiche, rivenditori di attrezzature) che sempre riesce ad
estrarre dal suo magico cilindro la soluzione "giusta" al momento
giusto.
A questa duplice e convergente propensione dell'allevatore (ad essere
infinocchiato) e del tecnico (a infinocchiare) vengono incontro oggi sia
l'industria del farmaco veterinario che la legislazione comunitaria
che, dopo aver vietato nel 2006 il monensin sodico
come integratore (nome commerciale Rumensin, sino ad allora autorizzato
per i mangimi destinati ai vitelli all'ingrasso e ai bovini in genere,
ma non nelle vacche da latte), dallo scorso gennaio ha deciso di
riammettere l'uso dello stesso identico prodotto come farmaco. Prima
faceva male come integratore. E ora è buono come medicinale. Questa la
logica del "sistema" politico-industriale che decide come dobbiamo
nutrirci.
È
così quindi che, dal 28 gennaio scorso, il gigante del settore
veterinario Elanco (statunitense, con cinque sedi in Europa e decine nel
mondo, già produttore del Rumensin) ha ottenuto dalla Commissione
Europea l'autorizzazione a produrre e commercializzare il Kexxtone, nome
commerciale del prodotto, che in questi giorni viene lanciato e spinto
sul mercato europeo con una campagna divulgativa di cui gli stessi
tecnici sono i principali divulgatori. Una svista forse che la natura
del farmaco (lo ribadiamo: è un antibiotico), indicata nei documenti pubblicati (pdf, 160kb) dalla Ce, non sia neanche citata nella brochure (pdf, 2Mb) di
presentazione? E perché poi un prodotto vietato per uso alimentare
(integratore) viene riammesso non per via parenterale (in quanto la sua
azione avviene a livello ruminale) ma sempre per somministrazione orale?
Il farmaco, non proponibile attraverso la prescrizione di punture (la
sua somministrazione dev'essere a basso dosaggio e quindi quotidiana:
figuriamoci l'allevatore a punturare ogni giorni per settimane decine o
centinaia di vacche!) viene quindi riammesso sotto forma di boli a lento
rilascio. Boli che si vanno ad aggiungere ad altri boli e a corpi
estranei spesso introdotti "a vita" nel rumine delle bovine (si pensi alle calamite, "necessarie"
per evitare ai materiali ferrosi presenti nei mangimi di danneggiare
l'apparato digerente degli animali). E così, bolo dopo bolo (ognuno si
esaurisce in novanta giorni, rimanendo lì, vuoto, a galleggiare per
sempre), ogni vacca può fruttare a chi vende Kexxtone, più di 700 euro
(la Elanco prescrive di non superare i 16 boli per vacca, somministrati
uno alla volta, ndr). Pensate: 700 euro per una sola problematica
altrimenti facile da risolvere, come si diceva all'inizio, con
un'adeguamento dell'alimentazione dell'animale.
Gli argomenti addotti dai tecnici per caldeggiare il consumo di monensin sodico
sono presto detti: con questo farmaco si “pilotano” le fermentazioni,
consentendo una maggiore produzione di energia ruminale (vedi qui sopra
l'illustrazione proposta dall'azienda per il Rumensin), mediante una
maggior produzione, da parte del rumine, di acido propionico. Questo per
“controllare” meglio la carenza energetica delle vacche nei primi
periodi di lattazione (periodo critico per il soddisfacimento dei
fabbisogni energetici) e per prevenire, per l'appunto, la chetosi. E
poi, le illustrazioni proposte dai pieghevoli della Elanco promettono
risultati eccellenti,. Perché mai dubitare?
Conclusioni
Quello del monensin sodico, uscito "dalla porta" come
integratore alimentare e rientrato "dalla finestra" come farmaco
(necessita di ricetta medica, ma i veterinari la fanno senza problema,
ndr) è un caso emblematico dello strapotere delle lobby del farmaco
veterinario nel mercato della zootecnia industriale. Il prodotto
"giusto", ammesso o riammesso ufficialmente dalla legislazione
comunitaria, è proposto (e in qualche modo imposto) da una schiera di
venditori travestiti da tecnici, che imperversano, decidendo al posto
dell'allevatore cosa sia bene - o meno bene - fare.
Un
prodotto che, pur essendo un antibiotico ma non prevedendo alcun tipo
di sospensione dell'attività produttiva (latti e carni - assicura il
produttore - possono esser lavorati "dopo zero giorni"), condiziona di
certo verso il basso la qualità dei prodotti alimentari che deriveranno
da quegli animali (la grande facilità con cui la zootecnia intensiva
utilizza antibiotici per molte problematiche sanitarie dell'animale
comporta l'assimilazione di un mix di tali medicinali da parte dei
consumatori attraverso il cibo, ndr).
Ma i dubbi sulla circolazione di questo prodotto rimangono, perché dal gennaio 2006 il monensin sodico
era stato vietato nell'allevamento dei bovini, e perché prima di quella
data non era possibile usarlo per le vacche da latte. Perché questo? E
perché vietarlo prima come integratore per riammetterlo ora con un pari
sistema di assorbimento? Cos'è che, stante il perdurare delle
problematiche di sempre (il prodotto è sempre il medesimo) ha fatto
cambiare idea all'Europa?
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