lunedì 24 aprile 2017

Archeologia: La Rivoluzione del Latte

Quando una singola mutazione genetica permise, prima di qualsiasi altra cosa, agli antichi Europei di bere latte ponendo le basi per una rivoluzione continentale
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Di Andrew Curry 
Nel 1970, l’archeologo Peter Bogucki stava scavando un sito dell’Età della Pietra nelle fertili pianure della Polonia centrale, quando si imbatté in un insieme di strani manufatti. Le popolazioni che hanno vissuto qui circa 7000 anni fa, sono stati tra i primi allevatori dell’Europa Centrale e si sono lasciati alle spalle alcuni frammenti di ceramica punteggiati di piccoli fori. Sembrava come se la terra rossa grezza fosse stata cotta mentre era trafitta da frammenti di paglia.  Riguardando da cima a fondo la letteratura archeologica precedente, Bogucki ha trovato altri esempi di antiche ceramiche perforate. “Erano così inusuali – che le persone volevano quasi sempre includerle nelle pubblicazioni “, dice Bogucki, ora all’Università di Princeton nel New Jersey. Aveva visto un manufatto simile, che veniva utilizzato per colare il formaggio, in casa di un amico così ha ipotizzato che le ceramiche potevano essere collegate alla produzione di formaggio. Ma non aveva avuto
modo di provare la sua idea. I misteriosi frammenti di vasellame sono rimasti in un deposito fino al 2011, quando Mélanie Roffet-Salque li ha tirati fuori ed ha  analizzato i residui di grasso conservati nella creta. La Roffet-Salque, un geochimico presso l’Università di Bristol, Regno Unito, ha trovato abbondanti residui di grassi del latte – la prova che i primi agricoltori avevano utilizzato queste ceramiche come setacci per separare i grassi solidi dal siero liquido del latte. Questo rende i cocci polacchi la più antica testimonianza conosciuta di produttori di formaggio nel mondo1. L’indagine della Roffet-Salque fa parte di un’ondata di scoperte sulla “storia del latte” in Europa. Molte di queste scoperte sono scaturite da un progetto di  3,3 milioni di euro (US  4,4 milioni di dollari) iniziato nel 2009 e che ha coinvolto archeologi, chimici e genetisti. I ritrovamenti fatti da questo gruppo di studiosi hanno fatto luce su come i latticini abbiano influenzato in maniera importante la comparsa di insediamenti umani sul continente.  Durante l’ultima era glaciale, il latte era essenzialmente una tossina per gli adulti perché, a differenza di bambini, non avevano più la capacità di produrre l’enzima lattasi, necessario per scindere il lattosio, il principale zucchero del latte. Ma quando l’allevamento ha iniziato a sostituire la caccia e la raccolta (circa 11.000 anni fa in Medio Oriente), gli allevatori di bestiame hanno imparato a ridurre (a livelli tollerabili) il lattosio contenuto nei latticini, fermentando il latte per farne formaggio o yogurt. Diverse migliaia di anni più tardi, una mutazione genetica si è diffusa attraverso l’Europa e ha permesso alla gente di sviluppare la capacità di produrre lattasi e quindi di bere il latte per tutta la durata della loro vita. Questo adattamento ha apportato una nuova e ricca fonte di nutrimento che avrebbe fornito sostentamento alle comunità quando i raccolti si fossero rovinati. Questa rivoluzione in due fasi del latte potrebbe essere uno dei principali fattori che hanno permesso ai gruppi di agricoltori e pastori, provenienti da sud, di diffondersi attraverso l’Europa e di sostituire le civiltà di cacciatori-raccoglitori che avevano vissuto qui per millenni. “Da un punto di vista archeologico, si sono diffusi molto rapidamente verso il Nord Europa”, spiega Mark Thomas, un genetista della popolazione dell’University College di Londra. L’ondata di migrazione ha lasciato un’impronta duratura sull’Europa, dove, a differenza di molte regioni del mondo, la maggior parte delle persone può tollerare il latte. “Può essere che buona parte degli Europei discenda dai primi produttori di latticini considerati lattasi-persistenti presenti in Europa”, dice Thomas.
Stomaci Forti
I bambini piccoli di quasi tutto il mondo producono lattasi e possono digerire il lattosio contenuto nel latte materno. Ma, man mano che crescono, la maggior parte silenzia il gene della lattasi. Solo il 35% della popolazione umana oltre i sette o otto anni circa d’età può digerire il lattosio (rif. 2). “Se siete intolleranti al lattosio e bevete mezzo litro di latte, vi sentirete davvero male. Avrete una diarrea improvvisa ed abbondante – essenzialmente una dissenteria”, dice Oliver Craig, archeologo presso l’Università di York nel Regno Unito. “Non sto dicendo che sia letale, ma è piuttosto sgradevole.” La maggior parte delle persone che mantengono la capacità di digerire il latte possono rintracciare i loro antenati in Europa, dove il tratto sembra essere legato ad un singolo nucleotide nel quale la base del DNA citosina si è modificata in timina in una regione genomica non lontano dal gene della lattasi. Ci sono altre sacche di persistenza della lattasi in Africa occidentale (vedi Nature 444, 994-996; 2006), in Medio Oriente e in Asia del sud che sembrano essere collegate a mutazioni differenti (vedere la figura “hotspots” della lattasi). In Europa il cambiamento del singolo nucleotide si è verificato in tempi relativamente recenti. Thomas e i suoi colleghi hanno stimato i tempi, cercando le variazioni genetiche nelle popolazioni moderne ed eseguendo simulazioni al computer su come la mutazione genetica correlata avrebbe potuto diffondersi tra le popolazioni antiche4. Essi hanno proposto che il tratto della persistenza della lattasi, denominato allele LP, sia emerso circa 7.500 anni fa nelle ampie pianure fertili dell’Ungheria.


Gene dominante
Una volta apparso, l’allele LP ha apportato un maggior vantaggio selettivo. In uno studio del 20045, i ricercatori hanno stimato che le persone con la mutazione avrebbero prodotto fino al 19% in più di prole fertile rispetto a quelli a cui mancava. I ricercatori hanno definito questo tipo di selezione “tra le più forti mai viste per qualsiasi gene del genoma”. Amplificatosi per diverse centinaia di generazioni, questo vantaggio potrebbe aver aiutato una popolazione a prendere il controllo di un continente. Ma solo se “la popolazione avesse avuto una fornitura di latte fresco e fosse stata capace di caseificarlo”, dice Thomas. “È una coevoluzione che coinvolge geni e cultura. Si influenzano vicendevolmente.” Per studiare la storia di questa interazione, Thomas ha collaborato con Joachim Burger, un paleogenetista dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz in Germania e con Matthew Collins, un bioarcheologo dell’Università di York. Hanno organizzato un progetto multidisciplinare chiamato LeCHE (Persistenza della lattasi nei primi anni di Storia Culturale d’Europa), che ha riunito una dozzina di ricercatori all’inizio della loro carriera provenienti da tutta Europa. Attraverso lo studio della biologia molecolare umana, dell’archeologia e della chimica del vasellame antico, i partecipanti a LeCHE speravano di approfondire anche la questione fondamentale sulle origini degli Europei moderni. “In Archeologia, è oggetto di discussione costante se discendiamo dagli allevatori del Medio Oriente o dalle civiltà indigene di cacciatori-raccoglitori”, dice Thomas. L’argomento si sintetizza con due parole: evoluzione vs. sostituzione. In Europa le popolazioni autoctone di cacciatori-raccoglitori hanno iniziato a coltivare e ad allevare? O c’è stato un afflusso di colonizzatori agricoli che ha spodestato, grazie ad una combinazione di geni e di tecnologia, gli abitanti locali? Un filone di prove è venuto fuori da studi fatti su ossa di animali trovati in siti archeologici. Se i bovini sono stati allevati principalmente per la produzione di latte, i vitelli saranno generalmente macellati prima del loro primo compleanno in modo che le loro madri possano essere munte. Al contrario se il bestiame venisse allevato principalmente per la carne verrebbe ucciso più tardi, quando avrebbe raggiunto il completo sviluppo del peso. (Il modello, ma non l’età, è simile anche per gli ovini e i caprini, che sono stati parte della rivoluzione casearia.)

Sulla base di studi sui modelli di crescita delle ossa, il partecipante al LeCHE Jean-Denis Vigne, un archeozoologo del Museo Nazionale Francese di Storia Naturale di Parigi, ha suggerito che la caseificazione in Medio Oriente potrebbe essere completamente ricondotta a quando l’uomo iniziò ad addomesticare gli animali di quei territori, circa 10.500 anni fa6. Questo si sarebbe verificato solo dopo la transizione Neolitica Mediorientale cioè quando l’economia, basata sulla caccia e sulla raccolta, ha lasciato il posto ad una più dedita all’agricoltura. A quanto dice Roz Gillis, anche lui un archeozoologo del museo di Parigi, la caseificazione, “potrebbe essere stata una delle ragioni per le quali le popolazioni umane hanno iniziato a catturare ed allevare ruminanti quali bovini, pecore e capre”. (Vedi “diaspora del latte”). La produzione di latticini si è poi ampliata in sinergia con la transizione neolitica, dice Gillis, che ha valutato la crescita ossea in 150 siti situati in Europa e in Anatolia (l’attuale Turchia). Come l’agricoltura si è diffusa dall’Anatolia verso il Nord Europa nell’arco di circa due millenni, anche la caseificazione ha seguito un andamento analogo. Da soli, i modelli di crescita ossea non ci dicono se la transizione neolitica in Europa sia avvenuta attraverso l’evoluzione o la sostituzione di una popolazione preesistente, ma le ossa dei bovini possono offrirci altri indizi importanti. In uno studio precedente7, Burger e diversi altri partecipanti al LeCHE, hanno scoperto che i bovini addomesticati nei siti neolitici in Europa erano strettamente correlati a quelli provenienti dal Medio Oriente, piuttosto che agli uri selvatici autoctoni. Burger dice che questa è un’indicazione evidente di come gli allevatori in arrivo abbiano portato il proprio bestiame con loro, piuttosto che addomesticare quello locale. Una storia simile sta emergendo dallo studio di  antichi DNA umani recuperati da alcuni siti in Europa centrale, i quali suggeriscono che gli allevatori neolitici non discendevano dai cacciatori-raccoglitori che prima vivevano in quei territori8. Presi nel loro insieme, questi dati ci forniscono un aiuto per definire le origini dei primi “contadini” europei. Burger dice: “Per molto tempo, la corrente archeologica principale dell’Europa continentale ha ipotizzato che i cacciatori-raccoglitori del mesolitico si fossero trasformati negli agricoltori del Neolitico”; “In pratica alla fine abbiamo dimostrato che erano completamente diversi.”
Latte o carne
Dato che la caseificazione in Medio Oriente è iniziata migliaia di anni prima che l’allele LP emergesse in Europa, gli antichi pastori dovevano aver trovato un modo alternativo per ridurre le concentrazioni di lattosio nel latte. È molto probabile che lo abbiano fatto mediante la produzione di formaggio o yogurt. I formaggi fermentati come la feta e il cheddar contengono solo una piccola frazione del lattosio presente originariamente nel latte fresco; i formaggi a pasta dura, come il parmigiano, che sono più invecchiati non ne contengono che minime quantità. Per verificare questa teoria, ai ricercatori  del LeCHE occorrevano dei test chimici sulle ceramiche antiche. La primitiva argilla porosa conteneva abbastanza residui per i chimici per arrivare a  distinguere che tipo di grasso fosse stato assorbito durante il processo di cottura: se fosse derivato da carne o da latte e se provenisse da ruminanti, come mucche, pecore e capre o da altri animali. “Questo ci ha permesso di dire quali tipi di cose venissero cotte”, dice Richard Evershed, chimico presso l’Università di Bristol. Evershed e i suoi collaboratori del LeCHE hanno trovato alcuni grassi del latte sul vasellame della Mezzaluna Fertile in Medio Oriente che risali va almeno a 8.500 anni fa9 e il lavoro di Roffet-Salque sulle ceramiche polacche1 è la prova evidente che i pastori in Europa  erano in grado di produrre formaggio per integrare la loro dieta già tra i 6.800 e i 7.400 anni fa. A quel punto, i latticini erano diventati un componente della dieta nel Neolitico, anche se non erano ancora una parte preponderante dell’economia. Questo ulteriore passo si è verificato più lentamente e sembra che abbia richiesto la diffusione della persistenza della lattasi. Inizialmente l’allele LP non era molto comune nella popolazione, ma lo è diventato qualche tempo dopo la sua prima comparsa: Burger ha cercato la mutazione in campioni di DNA umano antico e lo ha trovato solo in campioni nel nord della Germania, che risalivano a 6.500 anni fa. I modelli creati da Pascale Gerbault, genetista della popolazione presso l’University College di Londra e  partecipante al LeCHE, spiegano come il tratto si possa essere diffuso. Come le civiltà neolitiche del Medio Oriente hanno iniziato a spostarsi verso l’Europa, le loro tecnologie di allevamento e pastorizia le hanno portate ad entrare in competizione con i cacciatori locali. E poiché i meridionali si spingono verso nord, dice Gerbault, l’allele LP ha “cavalcato” l’ondata migratoria. La persistenza della lattasi ha avuto un momento difficile stabilendosi in alcune parti dell’Europa meridionale, perché gli agricoltori neolitici si erano stabiliti lì prima che la mutazione comparisse. Ma, come la civiltà agricola ha cominciato a diffondersi verso nuovi territori a nord e a ovest, il vantaggio fornito dalla persistenza della lattasi ha avuto un grande impatto. “Dal momento che la popolazione cresce rapidamente ai margini dell’ondata, l’allele può aumentare di frequenza”, spiega Gerbault. I resti di quel modello migratorio sono ancora oggi visibili. In Europa meridionale, la persistenza della lattasi è relativamente rara – meno del 40% in Grecia e in Turchia. In Gran Bretagna e in Scandinavia, al contrario, oltre il 90% degli adulti può digerire il latte.
Cattura del bestiame
Entro la fine del Neolitico e l’inizio dell’età del bronzo, circa 5.000 anni fa, l’allele LP era diffuso in gran parte dell’Europa settentrionale e centrale e la pastorizia era diventata una parte dominante della civiltà. “ Essi hanno scoperto questo stile di vita e, una volta che hanno iniziato realmente ad ottenere benefici nutrizionali hanno migliorato o intensificato anche la pastorizia”, dice Burger. Le ossa del bestiame rappresentano più dei due terzi delle ossa animali presenti in molti siti archeologici del tardo Neolitico e della prima Età del Bronzo in Europa centrale e settentrionale. I ricercatori del LeCHE stanno ancora cercando di comprendere esattamente il motivo per cui la possibilità di consumare il latte abbia offerto un tale vantaggio in queste regioni. Thomas suggerisce che, siccome la gente si muoveva verso nord, il latte sarebbe stato un’assicurazione contro le carestie. I latticini- che potevano essere stoccati per lunghi periodi specie in climi più freddi –erano considerati delle fonti ricche di calorie indipendenti dall’andamento delle stagioni o dei cattivi raccolti. Altri pensano che il latte, vista la sua concentrazione relativamente elevata di vitamina D, possa aver contribuito, in particolare nel nord, a scongiurare malattie come il rachitismo. Gli esseri umani possono sintetizzare la vitamina D naturalmente solo se si espongono al sole, il che rende difficile ai settentrionali produrne abbastanza specie durante i mesi invernali. Ma la persistenza della lattasi ha messo radici anche nella soleggiata Spagna, gettando un dubbio sul ruolo della vitamina D. Il progetto LeCHE può offrire un modello con cui risolvere le domande degli archeologi, utilizzando una molteplicità di discipline e strumenti. “Hanno avuto un bel numero di differenti discipline – archeologia, paleoantropologia, studio del DNA antico e di quello moderno, analisi chimiche – tutte incentrate su una sola domanda”, dice Ian Barnes, un paleogenetista della Royal Holloway, Università di Londra, che non è coinvolto nel progetto. “Ci sono un gran numero di altri cambiamenti dietetici che possono essere studiati in questo modo.”  L’approccio potrebbe, per esempio, aiutarci a venire a capo riguardo le origini dell’amilasi, un enzima che aiuta a scindere l’amido. I ricercatori hanno ipotizzato che lo sviluppo di questo enzima potrebbe essere seguito – o aver reso possibile – l’aumento del desiderio di consumare il grano che ha accompagnato lo svilippo del settore agricolo. Gli scienziati vogliono tracciare anche l’evoluzione dell’alcool deidrogenasi, cruciale per la scissione dell’alcol, e che potrebbe rivelarci le origini della bramosia dell’umanità per gli alcolici. Alcuni dei partecipanti al Leche adesso stanno facendo ricerche andando ancora più a ritroso nel tempo per un progetto denominato B.E.A.N. (Bridging the European and Anatolian Neolithic), che sta cercando di capire il modo attraverso il quale i primi agricoltori e pastori si sono fatti strada verso l’Europa. Burger, Thomas e i loro collaboratori al BEAN saranno in Turchia questa estate, per tracciare le origini del Neolitico utilizzando modelli computerizzati e analisi del DNA antico, nella speranza di comprendere meglio chi fossero i primi agricoltori e quando sono arrivati in Europa. Durante il loro viaggio, si imbatteranno nel beyaz peynir, un formaggio salato fatto di latte pecora, consumato in quasi ogni colazione turca. Probabilmente questo formaggio è molto simile a quello che gli agricoltori neolitici della regione mangiavano circa 8.000 anni fa – molto prima che la diffusione della persistenza della lattasi permettesse alle persone di bere il latte fresco.
Nature 500, 20–22 (01 August 2013) doi:10.1038/500020
Riferimenti
Andrew Curry è uno scrittore freelance a Berlino.
  1. Salque, M. et al. Nature 493, 522–525 (2013).
  2. Leonardi, M., Gerbault, P., Thomas, M. G. & Burger, J. Int. Dairy J. 22, 88–97 (2012).
  3. Gerbault, P. et al. Phil. Trans. R. Soc. B 366, 863–877 (2011).
  4. Itan, Y., Powell, A., Beaumont, M. A., Burger, J. & Thomas, M. G. PLoS Comp. Biol. 5, e1000491 (2009).
  5. Bersaglieri, T. et al. Am. J. Hum. Genet. 74, 1111–1120 (2004).
  6. Vigne, J.-D. in The Neolithic Demographic Transition and its Consequences (eds Bocquet-Appel, J.-P. & Bar-Yosef, O.) 179–205 (Springer, 2008).
  7. Edwards, C. J. et al. Proc. R. Soc. B 274, 1377–1385 (2007).
  8. Bramanti, B. et al. Science 326, 137–140 (2009).
  9. Evershed, R. P. et al. Nature 455, 528–531 (2008).

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