giovedì 20 aprile 2017

Le falle del decreto sull'etichettatura d'origine del lattiero-caseario

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Gli interrogativi degli operatori sono diversi. Al di là delle dichiarazioni di rito delle grandi organizzazioni produttive, tutte favorevoli al provvedimento, le associazioni di categoria e, soprattutto, i produttori continuano a porsi interrogativi che non hanno ancora trovato risposte concrete.
Anzitutto, il decreto interministeriale del 9 dicembre 2016 sull'etichettatura d'origine del lattiero-caseario resterà in vigore fino al 31 marzo 2019, in via sperimentale. Il periodo è considerato da diversi operatori troppo breve per adeguarsi alle nuove disposizioni, col rischio che una simile normativa non venga mai adottata in altri Paesi Ue. E che nemmeno in Italia quest'obbligo possa diventare definitivo.In particolare, sono due le conseguenze che preoccupano i produttori. In primis, la norma nazionale potrebbe essere in contrasto con la politica di libero scambio dell'Unione europea, ma è a livello internazionale che si temono i problemi più grandi, a causa dell'adozione, in certi Paesi focus, di norme che penalizzano le importazioni.
C'è poi il discorso dei numerosi adempimenti richiesti alle aziende, per adeguarsi alle nuove disposizioni: comporteranno costi elevati. I produttori temono di dover supportare ingenti esborsi, essendo però obbligati a mantenere i medesimi prezzi al consumo. Anche se i produttori avranno sei mesi di tempo per smaltire le scorte. E sui prodotti ancora invenduti sarà possibile apporre etichette inamovibili ad integrazione. Sarà anche possibile aggiungere, oltre alle indicazioni obbligatorie, ulteriori info in etichetta; ad esempio l'origine regionale del latte, ovvero la scritta «100%
latte italiano», purché non ingenerino confusione nei consumatori.
Un altro nodo riguarda le Dop e Igp, escluse dall'etichettatura d'origine. Per questi prodotti l'origine è certificata dai singoli disciplinari di produzione; dunque, è altamente probabile che nella loro etichettatura non si allineeranno mai alle nuove disposizioni, anche per via del complesso iter a cui andrebbero incontro. Il rischio, però, è che agli occhi dei consumatori le loro indicazioni d'origine sembrino meno complete rispetto alle nuove etichette in vigore da oggi.
Finita qui? No, ci sono ancora diversi punti da chiarire: la norma madre del decreto del 9 dicembre 2016 è il regolamento Ue 1169/11; bene, a due anni dalla sua entrata in vigore in Italia, mancano ancora i relativi decreti sanzionatori. Per questo, a riguardo, il decreto in vigore da oggi rimanda al dispositivo sanzionatorio previsto dall'art. 4, comma 10, della legge 4/2011, che prevede sanzioni tra 1.600 e 9.500 euro per chi viola gli obblighi di etichettatura.
E ancora, con la dizione «paese di trasformazione» il decreto si riferisce all'ultima fase significativa e, quindi, in essa dovrebbe essere inclusa anche la stagionatura. Ma quanti giorni sono necessari per considerarla una fase significativa? A riguardo, i produttori hanno anche chiesto spiegazioni al legislatore, ma a quanto risulta a ItaliaOggi non hanno ricevuto ancora risposte certe.
Più complicato poi è il caso del mascarpone, poiché esso è composto da latte e crema di latte. Stando al decreto, va indicata solo la provenienza del primo ingrediente; tuttavia, se le provenienza dei due ingredienti fosse diversa, gli organi di controllo potrebbero sanzionare il produttore perché ne deriverebbe una situazione ingannevole per il consumatore.
Infine il decreto non specifica quale indicazione fornire nel caso in cui il latte utilizzato come ingrediente di un prodotto lattiero caseario provenga sia da Paesi Ue che extra Ue, non avendo disciplinato un'ipotesi di provenienza mista.

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