sabato 29 aprile 2017

Treviso: esame del Dna sui maiali per il falso “San Daniele”

Coinvolti allevatori della Marca, sequestrati i suini da riproduzione fuori legge La procura ha disposto indagini per escludere che siano stati usati verri danesi
 
Si sta allargando a macchia d’olio l’indagine dei carabinieri del Nas sugli allevamenti e stabilimenti di produzione del prosciutto San Daniele Dop e Parma. Mentre sale il numero degli indagati nella Marca, l’attività degli allevamenti, finiti nel mirino del Nas di Udine, è praticamente bloccata. I verri (maiali maschi da riproduzione), oggetto dell’indagine, sono stati posti sotto sequestro ed è stato disposto l’esame del Dna su un campione di “suinetti” di ciascun allevamento finito nelle maglie dei controlli per capire se sono stati riprodotti dai verri ammessi al Dop e, dunque, se è stata rispettata la filiera
del prosciutto a Denominazione d’origine protetta. Il sospetto degli investigatori è, infatti, quello che la produzione del prosciutto San Daniele Dop e Parma sia stata contaminata da verri da riproduzione non ammessi al Dop. In particolare verri danesi, la cui carne è sanissima ma senza le caratteristiche di qualità e tipicità richieste per produrre prosciutti che si possano fregiare della Denominazione di origine protetta. Il problema, dunque, nasce dalla fecondazione delle scrofe con il seme di verri dal genoma compatibile o meno con le razze consentite dal regolamento di produzione.
Due sono le procure che coordinano l’inchiesta. La procura di Torino, da cui parte l’inchiesta dopo un controllo su un’azienda piemontese che commercializza il seme suino, e quella di Pordenone. La prima ha messo sotto inchiesta due trevigiani: una donna di 33 anni, residente a San Pietro di Feletto, ed un allevatore di Roncade di 53 anni. Quest’ultimo risulta indagato anche dalla procura di Pordenone, in un parallelo filone d’inchiesta, assieme ad altri allevatori: un 35enne di Istrana, un 49enne di Roncade, un 40enne di Resana ed un 44enne vicentino con allevamento nella Marca.
Le accuse, nei loro confronti, sono diverse. Agli allevatori contestano l’utilizzo di verri non ammessi nel disciplinare, agli ingrassatori di vendere i suinetti pronti per il macello prima dei 9 mesi canonici, ai macelli di non rispettare il peso dei suinetti previsto dal disciplinare di produzione del Dop in un massimo di 176 chili con una tolleranza del 10 per cento in più o in meno, ai prosciuttifici di non fare i controlli previsti sulla qualità dei maiali.
Nel frattempo i legali degli indagati attendono l’esito delle analisi del Dna dei suinetti per chiedere il dissequestro dei verri. Le attività sono praticamente bloccate, in attesa dell’esito degli esami, con notevole danno economico per gli allevatori.
Tra gli indagati della Marca Trevigiana, la posizione più delicata è quella di un allevatore di Roncade di 53 anni che risulta indagato sia dalla procura di Torino che da quella di Pordenone. In particolare la procura di Torino gli contesta il reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. Secondo gli investigatori l’allevatore roncadese avrebbe “allevato e destinato alla macellazione verri di oprigine danese, con genetica non incrociata
con suini italiani, certificando origine, provenienza e qualità fittizie degli animali e dichiarando nella documentazione di accompagnamento informazioni diverse da quelle reali”. Un reato per il quale si rischia una condanna fino a due anni di reclusione.

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