PESCARA - Tra le decine di
migliaia di aziende agricole piegate spesso dalla crisi, con i pignoramenti in
corso, c’è anche quella di Dino Rossi, il presidente dell’associazione allevatori
abruzzesi Copsa, che in queste settimane combatte la madre di tutte le
battaglie per salvare la sua azienda di Ofena (L'Aquila) ingaggiando una
durissima vertenza contro Equitalia, che gli ha inviato una cartella
esattoriale da svariate decine di migliaia di euro e confiscato il conto
corrente.
Rossi aveva già minacciato di
portare nella sede aquilana della società di riscossione un metro cubo di
letame, con apposito trattore a tenuta stagna e cartelloni di protesta. Poi ha
minacciato il suicidio. Oggi, per fortuna, si limita a
combattere in sede giudiziaria quello che ritiene un sopruso.
“I metodi di riscossione di
Equitalia - spiega l’allevatore ad AbruzzoWeb - sono inaccettabili. Mi hanno
proposto con una e-mail un piano di pagamento rateale, ma ancora non mi
comunicano formalmente a quanto esattamente ammonterebbe il mio debito e dunque
le rate, nonostante le mie ripetute richieste”.
Rossi ne fa anche una questione
di principio: vuole sapere cioè quanto è l’effettivo debito e quanto invece è
stato aggiunto come interesse di mora e come aggio, ovvero come compenso che
Equitalia incamera per il servizio di riscossione reso.
“È un mio diritto, perché così
potrò difendermi nelle sedi opportune, se riterrò iniquo l’aggio e usuraio
l’interesse applicato. Ho più volte sollecitato la Prefettura invitandola a
intervenire, mi hanno assicurato che sarà fatto. È un problema che non riguarda
solo me. Ieri per esempio mi ha chiamato un collega allevatore. È disperato,
perché per un debito di 11 mila euro, Equitalia gli ha inviato una cartella
esattoriale da 33 mila euro. Una cosa incettabile, io non pagherò mai e poi mai
interessi usurai”.
Assistito dall’avvocato Davide
Tagliente, tributarista del foro di Pescara, Rossi ha fatto ricorso contro il
pignoramento del conto corrente.
“Il conto corrente per un’azienda
agricola è uno strumento di lavoro, le aziende lo usano per tirare avanti,
facendo assegni post datati, in attesa di raccolti e vendita di prodotti. Come
fa un'azienda a ripagare un debito, a rimettersi in carreggiata, se gli tagli
le gambe preventivamente?”.
Rossi infine non ha problemi ad
ammettere di essere stato costretto ad accumulare debiti e di essere pronto a
estinguerli. Ma chiede alla politica, spesso distante dai problemi reali del
settore agricolo, di riflettere seriamente sui fattori che portano le aziende
sull’orlo del collasso.
"In questi anni ho lavorato
365 giorni all’anno, senza ferie nè malattia pagate, al freddo e al gelo,
perché non sono un dipendente pubblico - dice - I fattori che hanno portato la
mia e altre aziende sull’orlo del fallimento sono tanti, tante piccole cose che
messe insieme sono diventate un macigno. Non parlo solo della crisi economica e
del calo delle vendite dei miei formaggi, che continuano nonostante tutto a
essere apprezzati e acquistati. Da anni i miei raccolti sono danneggiati dai
cinghiali, i miei animali uccisi dai lupi, e gli indennizzi sono di facciata e
non ripagano certo il danno fatto".
"Pago ancora le conseguenze
della vaccinazione della lingua blu che invece di guarire ha diffuso la
malattia nelle mie mandrie. In Abruzzo c’è il blocco della movimentazione degli
animali, non posso essere macellati, né tantomeno venduti da vivi, fuori
regione. Questo comporta il controllo del prezzo della carne, perché gli
allevatori sono costretti a macellare in loco. La mucca pazza ha rovinato il
mercato della carne bovina, anche la ristorazione ne ha risentito come pure il
turismo. Per non parlare delle quote latte, mucche fatte vivere sulla carta 83
anni, per dare modo alle catene di trasformazione e distribuzione di importare
latte dai paesi dell’est e venderlo come latte prodotto in Italia, facendo
scendere il prezzo del latte alla stalla".
"Quando non c’erano le
quote, il latte costava 850 lire al litro -
si infervora l'allevatore - il
gasolio agricolo 600 lire. Oggi il latte costa 0,42 centesimi e il gasolio
agricolo 1 euro, in più dobbiamo riversare allo stato l'1 per cento dell’Iva,
quando prima la incassavamo tutta. Tutte scelte politiche a vantaggio di altre
realtà, ma che di conseguenza hanno affossato la nostra agricoltura, quel
settore che muove il volano dell’economia”.
Infine l’ultima, inevitabile
mazzata, la cartella di Equitalia.
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