mercoledì 6 agosto 2014

La guerra dell'allevatore a equitalia "Interessi da usura, così ci uccidono"

Fonte notizia:                                

di Filippo Tronca
PESCARA - Tra le decine di migliaia di aziende agricole piegate spesso dalla crisi, con i pignoramenti in corso, c’è anche quella di Dino Rossi, il presidente dell’associazione allevatori abruzzesi Copsa, che in queste settimane combatte la madre di tutte le battaglie per salvare la sua azienda di Ofena (L'Aquila) ingaggiando una durissima vertenza contro Equitalia, che gli ha inviato una cartella esattoriale da svariate decine di migliaia di euro e confiscato il conto corrente. 

Rossi aveva già minacciato di portare nella sede aquilana della società di riscossione un metro cubo di letame, con apposito trattore a tenuta stagna e cartelloni di protesta. Poi ha minacciato il suicidio. Oggi, per fortuna, si limita a

combattere in sede giudiziaria quello che ritiene un sopruso.


“I metodi di riscossione di Equitalia - spiega l’allevatore ad AbruzzoWeb - sono inaccettabili. Mi hanno proposto con una e-mail un piano di pagamento rateale, ma ancora non mi comunicano formalmente a quanto esattamente ammonterebbe il mio debito e dunque le rate, nonostante le mie ripetute richieste”. 
Rossi ne fa anche una questione di principio: vuole sapere cioè quanto è l’effettivo debito e quanto invece è stato aggiunto come interesse di mora e come aggio, ovvero come compenso che Equitalia incamera per il servizio di riscossione reso. 
“È un mio diritto, perché così potrò difendermi nelle sedi opportune, se riterrò iniquo l’aggio e usuraio l’interesse applicato. Ho più volte sollecitato la Prefettura invitandola a intervenire, mi hanno assicurato che sarà fatto. È un problema che non riguarda solo me. Ieri per esempio mi ha chiamato un collega allevatore. È disperato, perché per un debito di 11 mila euro, Equitalia gli ha inviato una cartella esattoriale da 33 mila euro. Una cosa incettabile, io non pagherò mai e poi mai interessi usurai”. 
Assistito dall’avvocato Davide Tagliente, tributarista del foro di Pescara, Rossi ha fatto ricorso contro il pignoramento del conto corrente. 
“Il conto corrente per un’azienda agricola è uno strumento di lavoro, le aziende lo usano per tirare avanti, facendo assegni post datati, in attesa di raccolti e vendita di prodotti. Come fa un'azienda a ripagare un debito, a rimettersi in carreggiata, se gli tagli le gambe preventivamente?”. 
Rossi infine non ha problemi ad ammettere di essere stato costretto ad accumulare debiti e di essere pronto a estinguerli. Ma chiede alla politica, spesso distante dai problemi reali del settore agricolo, di riflettere seriamente sui fattori che portano le aziende sull’orlo del collasso. 
"In questi anni ho lavorato 365 giorni all’anno, senza ferie nè malattia pagate, al freddo e al gelo, perché non sono un dipendente pubblico - dice - I fattori che hanno portato la mia e altre aziende sull’orlo del fallimento sono tanti, tante piccole cose che messe insieme sono diventate un macigno. Non parlo solo della crisi economica e del calo delle vendite dei miei formaggi, che continuano nonostante tutto a essere apprezzati e acquistati. Da anni i miei raccolti sono danneggiati dai cinghiali, i miei animali uccisi dai lupi, e gli indennizzi sono di facciata e non ripagano certo il danno fatto". 
"Pago ancora le conseguenze della vaccinazione della lingua blu che invece di guarire ha diffuso la malattia nelle mie mandrie. In Abruzzo c’è il blocco della movimentazione degli animali, non posso essere macellati, né tantomeno venduti da vivi, fuori regione. Questo comporta il controllo del prezzo della carne, perché gli allevatori sono costretti a macellare in loco. La mucca pazza ha rovinato il mercato della carne bovina, anche la ristorazione ne ha risentito come pure il turismo. Per non parlare delle quote latte, mucche fatte vivere sulla carta 83 anni, per dare modo alle catene di trasformazione e distribuzione di importare latte dai paesi dell’est e venderlo come latte prodotto in Italia, facendo scendere il prezzo del latte alla stalla". 
"Quando non c’erano le quote, il latte costava 850 lire al litro -  si infervora l'allevatore -  il gasolio agricolo 600 lire. Oggi il latte costa 0,42 centesimi e il gasolio agricolo 1 euro, in più dobbiamo riversare allo stato l'1 per cento dell’Iva, quando prima la incassavamo tutta. Tutte scelte politiche a vantaggio di altre realtà, ma che di conseguenza hanno affossato la nostra agricoltura, quel settore che muove il volano dell’economia”. 
Infine l’ultima, inevitabile mazzata, la cartella di Equitalia. 

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