Nuovo incontro tra le parti a fine agosto. Sull'ipotesi di 42 cent al litro il parere degli esperti e dei produttori.
Foto tratta dal sito:"non sprecare.it"
Fonte notizie:
Latte,
qual è il prezzo giusto? Scaduto il contratto di riferimento per la
Lombardia lo scorso 30 giugno alla cifra record di 44,5 centesimi al
litro,
le parti si incontreranno – dopo la fumata nera di una decina di giorni
fa – entro la fine di agosto. Quattro settimane per leggere
ulteriormente il mercato e individuare il prezzo di conferimento.
Si parla di un accordo con una durata più breve rispetto ai precedenti
(1 febbraio – 30 giugno l’ultimo e, ancora prima, 1 agosto 2013 – 31
gennaio 2014), che potrebbe essere trimestrale o al massimo di quattro
mesi. Troppo marcata e troppo repentina la volatilità del mercato per
ipotizzare senza squilibri un contratto più lungo nel tempo.
Bisognerà poi trovare un’intesa sul quantum. Già oggi alcune aziende di trasformazione pagano il latte 42 centesimi e
sembra che questo possa essere il riferimento che verrà alla fine
sottoscritto nelle prossime settimane, salvo soprese e oscillazioni di
mercato che diano altre indicazioni.
Così almeno parrebbe, anche se il condizionale è d’obbligo. In attesa
che le parti siedano nuovamente al tavolo delle trattative AgroNotizie
ha chiesto al professor Daniele Rama, direttore dell’Osservatorio sui
mercati lattiero caseari ed economista all’Università Cattolica di
Piacenza (sede Smea di Cremona). “Credo che oggi un prezzo di conferimento di 42 centesimi possa essere in linea con lo scenario attuale – riferisce -. Dai
conti elaborati di recente proprio nel nostro centro abbiamo calcolato
un valore di riferimento di 41,8 centesimi, frutto delle tendenze
registrate nel mese di giugno, che ha visto diminuire la quotazione
delle commodities, scendere i listini del Parmigiano-Reggiano con
effetto negativo sul mercato”.
In flessione, prosegue Rama, “anche i costi complessivi di produzione di latte, per effetto della frenata dei prezzi del fieno, dei cereali, della soia”.
Nei prossimi mesi, tuttavia, la tendenza dovrebbe
invertirsi e la scalata delle quotazioni sul fronte lattiero caseario
riprendere, complice anche una certa vitalità negli scambi
internazionali. Così, almeno, sembrano dire gli indicatori. Anche
l’andamento meteo, con gli effetti apocalittici sui campi di mais, soia,
erba medica, in alcune parti del Nord Italia azzerati da piogge,
grandine e trombe d’aria, dovrebbe avere ripercussioni sulle materie
prime per l’alimentazione del bestiame. “Nei prossimi 3-4 mesi – ipotizza il prof. Rama – segni
di ripresa dovrebbero caratterizzare il mercato europeo, senza picchi
astronomici, ma comunque in miglioramento. In ogni caso, ritengo che al
momento 42 centesimi al litro potrebbero essere una cifra ragionevole,
purché non per un periodo di tempo eccessivo”.
Condivide l’impostazione Davide Lorenzi, allevatore di Marmirolo (Mantova). “Un contratto a 42 centesimi, se pagati a 30 giorni e con un premio qualità rispettoso, credo possa essere una buona soluzione – afferma Lorenzi -
ma non dimentichiamo, comunque, che attraversiamo il periodo dell’anno
col maggior numero di spese, fra l’energia per la refrigerazione del
latte e il raffrescamento delle stalle per il benessere animale, le
trincee da riempire, la crisi di liquidità che frena gli investimenti e
talvolta anche la gestione ordinaria dell’azienda, la necessità di fare
scorte alimentari con un prezzo di riferimento che ancora non è noto.
Nel Medio e Alto mantovano, dove ho l’azienda agricola, non possiamo poi
dimenticare i danni che ha provocato il maltempo: gli ettari di mais e
medica che sono andati distrutti peseranno più avanti e accenderanno il
mercato”. Quanto alla durata del contratto, per Lorenzi “tre mesi
possono essere un periodo ragionevole, sufficientemente adeguato per
pianificare la campagna autunno vernina e forse anche oltre, ma senza
eccedere, perché il mercato lattiero caseario sta attraversando una fase
piuttosto dinamica e un accordo più lungo andrebbe ad ingessare
posizioni non corrispondenti alla realtà”.
La pensa diversamente Giuseppe Cervi Ciboldi, veterinario e allevatore di Casalbuttano (Cremona) con una stalla da 700 capi. “Oggi, una cifra di 42 centesimi al litro significa lavorare in pari, senza perdite, ma senza guadagni – osserva -. Ma
in questo modo viene meno il senso stesso dell’azienda, che è fare
investimenti, crescere, creare occupazione. Se non si ritorna verso i 44
centesimi i produttori non vanno da nessuna parte. Bisognerebbe evitare
quanto è già accaduto in passato, con il latte spot pagato 50 centesimi
e il contratto a quota 42 o, come è avvenuto recentemente, un contratto
a 44,5 centesimi e prezzi del latte in cisterna in qualche occasione
più bassi”.
Cervi Ciboldi analizza anche le tempistiche del contratto. “Penso
sia stato un errore da parte di chi doveva rappresentare gli allevatori
chiudere un’intesa che terminasse a giugno, quando solitamente il
prezzo del latte è in calo – sostiene -. È chiaro che diventa
difficile individuare una data non infausta, e proprio per questo
contratti trimestrali potrebbero compensare le fasi di crescita con
quelle di recessione dei listini. Un’ipotesi da valutare è anche quella
legata all’indicizzazione del prezzo legata a diversi parametri”.
Punta l’attenzione sui costi per le imprese agricole Giuseppe De Paoli,
responsabile del settore zootecnico di Coldiretti Verona, che traccia
anche un quadro del contesto produttivo dell’area. “Uno
dei fattori maggiormente penalizzante per il comparto lattiero caseario
della provincia di Verona è che, per la gran parte, il latte prodotto
viene trasformato fuori dal territorio provinciale e, di conseguenza,
viene a mancare una parte del valore aggiunto sul prodotto finito – osserva –.
Nel primo semestre del 2014 il prezzo medio di 44 centesimi al litro,
dato lievemente maggiore rispetto a due anni fa, è stato intaccato da
costi di produzione alle stelle, dalle materie prime utilizzate per
l’alimentazione del bestiame, al carburante all’energia. Il comparto sta
attraversando un periodo che possiamo dire discreto, ma che galleggia
tra costi e ricavi per i produttori”.
Chi cerca di rilanciare il mercato è il Consorzio del Parmigiano-Reggiano,
che nei giorni scorsi ha ratificato il ritiro di 90mila forme della
produzione 2013 e ha varato ulteriori misure per invertire la rotta dei
listini, che negli ultimi sette mesi ha registrato un calo delle
quotazioni all’origine pari al 15% (9,12 euro/kg a gennaio, 7,76 eur/kg
al 10 luglio scorso.
Spiccano, tra queste, il rafforzamento e l’estensione dei sostegni alle
vendite nella gdo italiana, l’intensificazione dei controlli sul
prodotto grattugiato e la verifica dei livelli previsti dai piani di
regolazione dell’offerta, che nei prossimi mesi potrebbe determinare una
riduzione degli obiettivi di produzione previsti per il 2015. “Prevalentemente – spiega il presidente del Consorzio, Giuseppe Alai –
si tratta di interventi urgenti di mercato accompagnati comunque da
misure che guardano oltre l’attuale situazione congiunturale e tengono
conto del perdurare di una crisi economica che ha determinato non solo
una flessione degli acquisti interni che coinvolge pressoché tutti i
formaggi duri, ma anche un calo del prezzo al quale mediamente il
prodotto viene offerto ai consumatori, segnato da una flessione del 2,8%
nel primo semestre 2014”.
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