martedì 5 agosto 2014

Latte, qual è il prezzo giusto?

Nuovo incontro tra le parti a fine agosto. Sull'ipotesi di 42 cent al litro il parere degli esperti e dei produttori.

Foto tratta dal sito:"non sprecare.it"

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Latte, qual è il prezzo giusto? Scaduto il contratto di riferimento per la Lombardia lo scorso 30 giugno alla cifra record di 44,5 centesimi al litro, le parti si incontreranno – dopo la fumata nera di una decina di giorni fa – entro la fine di agosto. Quattro settimane per leggere ulteriormente il mercato e individuare il prezzo di conferimento.

 Si parla di un accordo con una durata più breve rispetto ai precedenti (1 febbraio – 30 giugno l’ultimo e, ancora prima, 1 agosto 2013 – 31 gennaio 2014), che potrebbe essere trimestrale o al massimo di quattro mesi. Troppo marcata e troppo repentina la volatilità del mercato per ipotizzare senza squilibri un contratto più lungo nel tempo.
Bisognerà poi trovare un’intesa sul quantum. Già oggi alcune aziende di trasformazione pagano il latte 42 centesimi e sembra che questo possa essere il riferimento che verrà alla fine sottoscritto nelle prossime settimane, salvo soprese e oscillazioni di mercato che diano altre indicazioni.

Così almeno parrebbe, anche se il condizionale è d’obbligo. In attesa che le parti siedano nuovamente al tavolo delle trattative AgroNotizie ha chiesto al professor Daniele Rama, direttore dell’Osservatorio sui mercati lattiero caseari ed economista all’Università Cattolica di Piacenza (sede Smea di Cremona).
“Credo che oggi un prezzo di conferimento di 42 centesimi possa essere in linea con lo scenario attuale – riferisce -. Dai conti elaborati di recente proprio nel nostro centro abbiamo calcolato un valore di riferimento di 41,8 centesimi, frutto delle tendenze registrate nel mese di giugno, che ha visto diminuire la quotazione delle commodities, scendere i listini del Parmigiano-Reggiano con effetto negativo sul mercato”.
In flessione, prosegue Rama, “anche i costi complessivi di produzione di latte, per effetto della frenata dei prezzi del fieno, dei cereali, della soia”.
Nei prossimi mesi, tuttavia, la tendenza dovrebbe invertirsi e la scalata delle quotazioni sul fronte lattiero caseario riprendere, complice anche una certa vitalità negli scambi internazionali. Così, almeno, sembrano dire gli indicatori. Anche l’andamento meteo, con gli effetti apocalittici sui campi di mais, soia, erba medica, in alcune parti del Nord Italia azzerati da piogge, grandine e trombe d’aria, dovrebbe avere ripercussioni sulle materie prime per l’alimentazione del bestiame.
“Nei prossimi 3-4 mesi – ipotizza il prof. Rama – segni di ripresa dovrebbero caratterizzare il mercato europeo, senza picchi astronomici, ma comunque in miglioramento. In ogni caso, ritengo che al momento 42 centesimi al litro potrebbero essere una cifra ragionevole, purché non per un periodo di tempo eccessivo”.

Condivide l’impostazione Davide Lorenzi, allevatore di Marmirolo (Mantova). “Un contratto a 42 centesimi, se pagati a 30 giorni e con un premio qualità rispettoso, credo possa essere una buona soluzione – afferma Lorenzi - ma non dimentichiamo, comunque, che attraversiamo il periodo dell’anno col maggior numero di spese, fra l’energia per la refrigerazione del latte e il raffrescamento delle stalle per il benessere animale, le trincee da riempire, la crisi di liquidità che frena gli investimenti e talvolta anche la gestione ordinaria dell’azienda, la necessità di fare scorte alimentari con un prezzo di riferimento che ancora non è noto. Nel Medio e Alto mantovano, dove ho l’azienda agricola, non possiamo poi dimenticare i danni che ha provocato il maltempo: gli ettari di mais e medica che sono andati distrutti peseranno più avanti e accenderanno il mercato”. Quanto alla durata del contratto, per Lorenzi “tre mesi possono essere un periodo ragionevole, sufficientemente adeguato per pianificare la campagna autunno vernina e forse anche oltre, ma senza eccedere, perché il mercato lattiero caseario sta attraversando una fase piuttosto dinamica e un accordo più lungo andrebbe ad ingessare posizioni non corrispondenti alla realtà”.

La pensa diversamente Giuseppe Cervi Ciboldi, veterinario e allevatore di Casalbuttano (Cremona) con una stalla da 700 capi. “Oggi, una cifra di 42 centesimi al litro significa lavorare in pari, senza perdite, ma senza guadagni – osserva -. Ma in questo modo viene meno il senso stesso dell’azienda, che è fare investimenti, crescere, creare occupazione. Se non si ritorna verso i 44 centesimi i produttori non vanno da nessuna parte. Bisognerebbe evitare quanto è già accaduto in passato, con il latte spot pagato 50 centesimi e il contratto a quota 42 o, come è avvenuto recentemente, un contratto a 44,5 centesimi e prezzi del latte in cisterna in qualche occasione più bassi”.
Cervi Ciboldi analizza anche le tempistiche del contratto. “Penso sia stato un errore da parte di chi doveva rappresentare gli allevatori chiudere un’intesa che terminasse a giugno, quando solitamente il prezzo del latte è in calo – sostiene -. È chiaro che diventa difficile individuare una data non infausta, e proprio per questo contratti trimestrali potrebbero compensare le fasi di crescita con quelle di recessione dei listini. Un’ipotesi da valutare è anche quella legata all’indicizzazione del prezzo legata a diversi parametri”.

Punta l’attenzione sui costi per le imprese agricole Giuseppe De Paoli, responsabile del settore zootecnico di Coldiretti Verona, che traccia anche un quadro del contesto produttivo dell’area. “Uno dei fattori maggiormente penalizzante per il comparto lattiero caseario della provincia di Verona è che, per la gran parte, il latte prodotto viene trasformato fuori dal territorio provinciale e, di conseguenza, viene a mancare una parte del valore aggiunto sul prodotto finito – osserva –. Nel primo semestre del 2014 il prezzo medio di 44 centesimi al litro, dato lievemente maggiore rispetto a due anni fa, è stato intaccato da costi di produzione alle stelle, dalle materie prime utilizzate per l’alimentazione del bestiame, al carburante all’energia. Il comparto sta attraversando un periodo che possiamo dire discreto, ma che galleggia tra costi e ricavi per i produttori”.

Chi cerca di rilanciare il mercato è il Consorzio del Parmigiano-Reggiano, che nei giorni scorsi ha ratificato il ritiro di 90mila forme della produzione 2013 e ha varato ulteriori misure per invertire la rotta dei listini, che negli ultimi sette mesi ha registrato un calo delle quotazioni all’origine pari al 15% (9,12 euro/kg a gennaio, 7,76 eur/kg al 10 luglio scorso.
Spiccano, tra queste, il rafforzamento e l’estensione dei sostegni alle vendite nella gdo italiana, l’intensificazione dei controlli sul prodotto grattugiato e la verifica dei livelli previsti dai piani di regolazione dell’offerta, che nei prossimi mesi potrebbe determinare una riduzione degli obiettivi di produzione previsti per il 2015.
“Prevalentemente – spiega il presidente del Consorzio, Giuseppe Alai – si tratta di interventi urgenti di mercato accompagnati comunque da misure che guardano oltre l’attuale situazione congiunturale e tengono conto del perdurare di una crisi economica che ha determinato non solo una flessione degli acquisti interni che coinvolge pressoché tutti i formaggi duri, ma anche un calo del prezzo al quale mediamente il prodotto viene offerto ai consumatori, segnato da una flessione del 2,8% nel primo semestre 2014”.

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