martedì 7 ottobre 2014

Cospa Abruzzo: «basta dare la colpa agli allevatori per la diffusione delle malattie infettive»

Animali in alpeggio controllati dalla Asl ma chi controlla la fauna reintrodotta?
Cospa Abruzzo: «basta dare la colpa agli allevatori per la diffusione delle malattie infettive»

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 ABRUZZO. Si torna a parlare dopo alcuni anni di silenzio di diffusione di malattie tra gli allevamenti anche abruzzesi.

Da ultimo ha fatto notizia la diffusione di tubercolosi con alcuni provvedimenti a carico di taluni allevatori che non avrebbero seguito le prescrizioni di legge.

La cosa però suona strana a Dino Rossi, responsabile di Cospa Abruzzo, l’associazione di allevatori che non ci sta a prendersi colpe quando sono molte le cose che non tornano.

«È il caso di dire basta a false accuse», dice Rossi, «accusare sempre gli allevatori per la diffusione di malattie infettive, è diventato di moda nella nostra regione, ma c’è chi per anni, con i soldi pubblici ha infettato gratuitamente il nostro patrimonio zootecnico e le nostre montagne. Qualche tempo fa in Abruzzo e più precisamente alle pendici del Gran Sasso, proprio nel cuore del parco, ci sono stati casi di carbonchio. Tutto è stato secretato, nessuno ne ha parlato, ma intanto i
vitelli morivano di carbonchio. Forse è una coincidenza, ma in quel periodo sono stati reintrodotti cervi e caprioli provenienti dall’est Europa, in barba al regolamento sulla introduzione della fauna selvatica, animali mai esistiti prima su tutto il territorio abruzzese».

Secondo il Cospa gli animali reintrodotti non sarebbero stati adeguatamente controllati e per questo avrebbero importato sul territorio anche virus mai registrati prima.

Anche perché il Cospa ricorda che gli animali portati in alpeggio devono seguire un rigido protocollo di controllo da parte della Asl che poi lascia il via libera al pascolo.

Dunque –si domanda il Cospa- se gli animali partono sani dove contraggono i virus?

«Noi diciamo che sono infetti gli animali selvatici del parco, mai monitorati e mai testati per le malattie infettive», spiega Rossi, «I parchi si limitano solo alla reintroduzione della specie, peraltro non autoctona, come prevede il regolamento. Se per gli animali domestici esistono profilassi cosi rigide, lo stesso dovrebbe essere perla fauna rintrodotta, anche questi animali devono avere le documentazioni sanitarie idonee: o no? A questo punto, per il bene del patrimonio zootecnico e perché no, anche della fauna selvatica, sarebbe opportuno verificare se la documentazione sanitaria di tutte le aree protette, a supporto della introduzione della fauna selvatica al fine di verificare che gli incartamenti rispettino le normative sanitarie vigenti sul nostro territorio nazionale. Principalmente c’è bisogno di monitorare la fauna selvatica di tutti i parchi ricadenti nella nostra regione».

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