domenica 26 ottobre 2014

L’Italia resta ferma se va a chilometro zero

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Abbiamo svariati motivi di vanto che lusingano l’ego nazionale. Tesori archeologici, arte, bellezze naturali, cucina e moda sono solo alcune delle peculiarità che caratterizzano uno stile di vita unico al mondo e che il mondo ci invidia. Il cibo è balzato di recente in cima all’elenco delle eccellenze nazionali. La tavola italiana da sempre non teme rivali, ma da quando le tv hanno scoperto che cucinare crea spettacolo e alimenta lo show business, si sono mossi interessi che prima nemmeno si immaginava. In piena crisi economica e finanziaria, mentre ristagnano o arretrano tutti i mercati, l’agroalimentare resta uno dei pochi settori a mantenere attiva la bilancia dei pagamenti. Adesso se ne intuiscono le potenzialità. I margini di crescita sono enormi se è vero che
per un euro prodotto in campo alimentare se ne ricavano 8 con l’Italian sounding, cioè con i prodotti contraffatti, copie dei più noti marchi, che invadono i mercati stranieri. Al Sial, il prestigioso salone alimentare di Parigi, sono state scoperte e ritirate forme di grana padano taroccate.
La contraffazione colpisce la merce d’alta qualità, che nell’immaginario del consumatore gode del massimo prestigio. E’ un valore aggiunto monetizzabile, conseguito grazie all’unicità delle materie prime impiegate. Il mercato premia gli anelli terminali della filiera produttiva (aziende trasformatrici e distribuzione organizzata), non l’agricoltura che fornisce cereali, foraggi, carne, latte, uova e salumi senza i quali il made in Italy agroalimentare non esisterebbe. L’attenzione mediatica per il nostro cibo aiuta l’agricoltura a uscire dal cono d’ombra nel quale l’ha relegata la politica che adesso incomincia a interessarsene. Ma sono fuochi fatui. La realtà è ben diversa da quella che appare nei set televisivi e nei salotti Rai dove periodicamente si celebra il nostro patrimonio enogastronomico. Il modello Italia, proposto come tema del convegno conclusivo delle Fiere zootecniche internazionali di Cremona, ha il sapore della provocazione. Le sfide quotidiane per i produttori delle nostre eccellenze agroalimentari sono una burocrazia asfissiante, un Governo che non difende le imprese, una redditività che non arriva a coprire i costi. E’ una condizione umiliante che getta una pesante ipoteca sul futuro di questo comparto essenziale per l’economia nazionale.
Mai come in questo caso le apparenze ingannano. In patria e all’estero ricevono apprezzamento le nostre eccellenze alimentari. I governanti italiani si autocelebrano, ma dimenticano o non sanno che l’agricoltura è in balìa degli eventi. La 69^ Fiera di Cremona ha messo in luce una realtà complessa. Da un lato appare la straordinaria determinazione con la quale il settore reagisce alla pesantissima congiuntura. Dall’altro si avvertono la sfiducia e l’incertezza di chi vive del lavoro dei campi. Alla vigilia dell’abolizione del regime delle quote, l’Italia brilla per l’assenza di un piano nazionale del settore lattiero caseario. Tutti i Paesi dell’Unione europea si sono attrezzati o lo stanno facendo per affrontare questa svolta epocale, densa di incognite. Tutti tranne l’Italia. Gli sforzi di alcuni validi ministri, tra i quali Martina, non bastano a colmare decenni di lassismo e di cattiva gestione. Si può obbiettare che manca anche un piano industriale nazionale, a lungo invocato ma del quale non c’è traccia. E’ l’ennesima conferma dell’inadeguatezza della classe politica italiana, pronta ad attribuirsi il merito di ciò che funziona, ma incapace di costruire qualcosa di solido e duraturo. Se consideriamo gli esorbitanti costi di produzione del latte italiano, si può affermare che la conquista dei mercati stranieri avviene a dispetto del sistema che è un freno anziché un fattore di sviluppo. La politica ha ostacolato la globalizzazione e ha perso tempo a inseguire pseudo soluzioni come il ‘chilometro zero’, un inganno per produttori e consumatori. Gli altri Paesi presidiano la commissione europea, fanno accordi, abbattono le barriere fitosanitarie. E noi ci autocelebriamo con un inesistente ‘modello Italia’. L’Italia si salverà solo se e quando si darà un modello di sviluppo

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