mercoledì 31 dicembre 2014

Il Parmigiano venduto a prezzi da stracchino

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C’era una volta un re. Si chiamava Parmigiano reggiano. «Adesso, quando entro in stalla alle cinque e mezzo del mattino — dice Giorgio Affanni, allevatore di 130 capi con 60 vacche in mungitura — mi chiedo spesso: chi me lo fa fare? Il mio lavoro sarà pagato il giusto o dovrò chiudere tutto? Non è possibile che il nostro formaggio, stagionato due anni, ci venga pagato, come uno stracchino che è pronto in pochi giorni». C’è rabbia in quel pezzo di Valpadana che va da Mantova a Bologna, terra di fieni buoni che ogni anno diventano latte poi si trasformano in 3 milioni di forme di Parmigiano reggiano. C’è la protesta di chi non è abituato a lamentarsi ma adesso dice: rischiamo davvero il crollo.

Bastano pochi numeri, per capire il problema. «Nel 2012 — racconta Affanni — il formaggio stagionato fra i 12 ed i 24 mesi ci veniva pagato 9 euro al chilo. L’anno scorso la media è stata di 8 euro. In questo 2014 non supereremo i 7 euro. Per il
nostro lavoro servono puntualità e tanta, troppa pazienza. Alle 5,30 in stalla e poi ancora alle 17,30 per la seconda mungitura. Non puoi sgarrare, perché il latte deve essere in caseificio al massimo quattro ore dopo l’inizio della mungitura. Tutto questo per 365 giorni all’anno. Poi inizia l’esercizio della pazienza. Solo nella primavera del 2015, infatti, sapremo quanto il nostro latte di quest’anno sarà pagato. Noi siamo tutti soci dei caseifici, che sono in massima parte cooperative. Nel corso dell’anno di produzione prendiamo solo qualche acconto. Ma a decidere il pagamento finale sarà solo il prezzo di vendita del prodotto stagionato. Oltre all’attesa, c’è un filo di angoscia. Succedono anche le “disgrazie”, nei caseifici. Se una partita viene male, se la stagionatura non riesce, crolla il prezzo e assieme a quello il nostro reddito ».
«In una contrada che si chiamava Bengodi… eravi una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra alla quale stava genti che niuna altra cosa facevan che fare maccheroni, raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi». Giovanni Boccaccio, nel “Decameron”, sei secoli e mezzo fa raccontava la realtà di oggi: a causare la crisi dell’ex re è proprio la “montagna” di formaggio, la produzione troppo alta che fa rotolare a valle non i maccheroni ma i prezzi. «Da tre milioni di forme — raccontano Cristiano Fini e Antenore Cervi, presidenti della Cia, Confederazione italiana agricoltori, a Modena e Reggio Emilia — siamo passati a tre milioni e trecentomila. E questo ha messo in crisi il mercato perché l’offerta ha superato la domanda. 

Con la crisi economica, inoltre, la spesa delle famiglie è diminuita. Per questo il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha deciso, per il 2015, di “tagliare” la produzione di latte di 800.000 quintali, pari al 5 per cento del totale. Le forme in meno saranno 150.000». Non è solo questione di superproduzione. «Gli allevatori e i casari — dicono i due presidenti, che assieme a Confagricoltura e Alleanza delle cooperative agroalimentari formano Agrinsieme — producono il latte e il formaggio ma a decidere i prezzi sono gli altri. I commercianti in prima fila, che arrivano nei caseifici e decidono loro quanto pagare. I caseifici sono presi per la gola: se non vendono non riescono a compensare gli allevatori che un anno prima hanno comprato soia o mais e hanno dovuto pagarli sull’unghia. Abbiamo il formaggio più buono e non siamo in grado di venderlo a un prezzo equo. Ci manca una vera rete commerciale. Il Parmigiano che si trova nella Gdo, Grande distribuzione organizzata, viene comprato da due soli centri di acquisto».

Negli spacci aziendali dei caseifici viene commercializzato solo il 10 per cento del prodotto, con prezzi che vanno da 10 ai 14 euro al chilo. Nei supermercati il Parmigiano è spesso un prezzo civetta (anche a 9-10 euro al chilo). Le vendite all’estero continuano ad andare bene ed hanno raggiunto il 30 per cento del totale. Ma da agosto, dopo le sanzioni per l’Ucraina, la Russia ha bloccato le importazioni di Parmigiano e Grana padano (l’export nel 2014 è crollato del 15,5 per cento). Questo mercato estero è comunque in mano ad esportatori che hanno comprato le forme spendendo il minimo.

Per il prossimo futuro non ci sono buone notizie. A fine marzo finiranno le quote latte e ogni Paese potrà produrre la quantità che ritiene opportuna. «Il latte spot, quello che non è oggetto di contratti annuali ma viene messo sul mercato a un prezzo fissato ogni due settimane, l’anno scorso a livello mondiale costava 0,52 e quest’anno 0,32. È chiaro che, per cercare di guadagnare qualcosa, invece della vendita diretta i produttori cercheranno la trasformazione in qualche formaggio, alla ricerca di un valore aggiunto. E la concorrenza sarà ancora più forte ».

Negozio InCoop, centro di Bologna. Mozzarella Vallelata, 10,16 euro al chilo. Mozzarella Santa Lucia, 11,36. Stracchino cremoso Granarolo 14,65. «Passa la voglia — dice l’allevatore Affanni — di andare in stalla. Se non diventiamo “padroni” anche nel mercato, rischiamo una brutta fine». «Eravi una montagna di formaggio…». Rischia di resistere solo il ricordo.

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