domenica 21 dicembre 2014

Zootecnia suina quale futuro?

Foto tratta da: "ilprimatonazionale"
Fonte notizia:
Renato Silvestro, presidente Cia della zona di Fossano-Savigliano (Cn), da oltre vent’anni allevatore suinicolo, mestiere “ereditato” dal padre Giorgio, è stato eletto Presidente del G.I.E. (Gruppo Interesse Economico) zootecnia.
I Gruppi di Interesse Economico sono stati istituiti dalla Cia per favorire la partecipazione attiva degli agricoltori alla vita ed alle scelte della confederazione in otto comparti portanti del settore agricolo: vino, olio d’oliva, ortofrutta, zootecnia, cereali, florovivaismo, colture industriali e caccia. I Gie a loro volta sono suddivisi in Comitati di prodotto, onde evitare di essere troppo generalisti.
Gli agricoltori potranno interagire con i G.I.E non solo partecipando alle riunione, ma anche attraverso un portale web dedicato, dove potranno portare all’attenzione dei loro colleghi e degli Organismi della Cia problematiche di
interesse settoriale, fornire suggerimenti e proposte, segnalare problemi e pubblicare documenti relativi alle questioni di interesse.
Incontriamo l’amico Renato, gli facciamo i migliori auguri degli allevatori di cui è un profondo conoscitore ed attivo rappresentante e gli chiediamo una valutazione sulla situazione che stanno vivendo alcuni comparti zootecnici.

Cominciamo dalla suinicoltura nella quale operi quotidianamente.

"E’ il settore a cui, più di ogni altro, va sempre incollata la parola “emergenza”. Basta fare riferimento al dato emerso nella riunione della Commissione nazionale Allevatori e Macellatori suini dell’11dicembre: per i suini da macello di peso 160-176 Kg il prezzo scaturito dalla contrattazione è stato pari a 1,320 euro/Kg, un -3,3% rispetto alla seduta precedente ed in forte calo nei confronti dello scorso anno. Di conseguenza facciamo i conti con tanti allevamenti che hanno chiuso i battenti negli ultimi mesi e con un import di suini vivi in continuo aumento. Non basta la riduzione dei prezzi delle materie prime alimentari per frenare le chiusure degli allevamenti: la redditività complessiva degli allevatori resta sempre troppo bassa e fortemente condizionata da elevati costi burocratici, contributivi e da un credito con il contagocce senza considerare, poi, la sempre più agguerrita e sleale concorrenza estera che da tempo pone sotto assedio il prodotto made in Italy. Tre prosciutti (cotti e crudi) su quattro sono esteri. E con nomi di fantasia si cerca anche di confondere il consumatore spacciandoli per made in Italy: “prosciutto del contadino”, “prosciutto nostrano”, “prosciutto di montagna”. La concorrenza dei prodotti provenienti dall'estero, di minore qualità, ma fortemente competitivi nei prezzi di produzione ha raggiunto livelli record. Importiamo oltre il 40 per cento del nostro fabbisogno di carne suina anche perché manca qualsiasi sistema obbligatorio di indicazione della provenienza che informi il consumatore rispetto al luogo di produzione e macellazione delle carni. I dati diffusi dall’Associazione Nazionale Suini registrano, per gli animali di peso superiore ai 50 Kg, nel periodo gennaio-settembre, un progresso notevole di importazione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in particolare dai Paesi Bassi, dalla Francia, dalla Germania e, soprattutto, dalla Danimarca e dalla Polonia.
Ben venga finalmente l’etichettatura d’origine che consenta, con l’accordo di tutte le parti della filiera, dalla stalla alla distribuzione, di difendere e valorizzare la nostra produzione suinicola tipica e di qualità".

Diamo uno sguardo anche alla zootecnia bovina da carne.
"Il mercato della carne bovina è caratterizzato, in questo periodo, da prezzi stabili per la carne di Piemontese mentre soffrono le carni da macello dei bovini Garronesi, che restano sottocosto e della razza Charolaise che rimangono stabili ma bassi. Salvo che per la Piemontese la situazione non mi pare, quindi, molto dissimile da quella suinicola. Ho letto in questi giorni un’ interessante analisi del dr. Claudio Montanari del Centro Ricerche Produzioni Animali dal quale si evince che “i numeri della zootecnia bovina da carne italiana nel biennio 2013-2014 fotografano una realtà che ha ormai imboccato la strada del declino produttivo. Nel periodo considerato, le macellazioni nel nostro Paese sono crollate di quasi il 10% e non solo perché la riduzione del reddito delle famiglie ha penalizzato i consumi di carni rosse. Il nostro sistema produttivo paga carenze di tipo organizzativo e anche strutturale. Una delle più importanti tra queste è la mancanza di alternative all’approvvigionamento di capi da ristallo dalla Francia, il cui costo incide pesantemente sul bilancio degli allevamenti da ingrasso di casa nostra. L’aumento delle quotazioni dei capi da ristallo di origine francese hanno giocato un peso rilevante nel determinare la caduta della produzione. Attualmente i prezzi di cereali e soia sono in netta diminuzione, ma il rientro delle quotazioni delle materie prime a livelli sostenibili ha coinciso con una fase calante del mercato dei capi da macello”. I risultati dell’indagine sono impietosi: negli allevamenti bovini da carne si è lavorato in netta perdita. La domanda d’obbligo è: come uscirne? Sarà molto difficile riuscirvi se non si metteranno in campo nuove forme di organizzazione della filiera e se non ci sarà un rafforzamento del ruolo delle organizzazioni dei produttori tanto più se consideriamo che sui mercati di largo consumo la competizione è diventata globale. Per i bovini da carne l’urgenza è maggiore visto che esso è uno dei comparti maggiormente penalizzati dalla nuova Pac, nella diminuzione del sostegno economico. A partire dal 2015, come si sa, il pagamento unico aziendale subirà una progressiva decurtazione che, a regime e comunque non più tardi del 2019, si attesterà al 40% del livello attuale".

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