Ancora dal convegno di Copenaghen. Questo parametro,nell’allevamento
delle bovine da latte, può crescere. E non solo perfezionando
il razionamento. Ma anche intervenendo su diversi altri fattori, come le
scelte
gestionali o la selezione genetica
Foto tratta da "novagricoltura.com" |
Fonte Notizia:
Migliorare
l'efficienza alimentare, nell'allevamento delle bovine da latte, è un
obiettivo possibile. Lo assicurano anche le relazioni scientifiche
esposte al 65° convegno dell'Associazione europea di produzione animale
(Eaap), tenutosi a Copenhagen (Danimarca) dal 25 al 29 agosto 2014. È un
appuntamento annuale che raccoglie i ricercatori europei e
internazionali che si occupano di zootecnia e rappresenta un momento
importante di aggiornamento e confronto scientifico.
L'edizione
2014 del convegno ha visto come temi principali nelle relazioni
presentate la zootecnica di precisione, la genomica, il benessere
animale e appunto l'efficienza alimentare. In questo articolo, ricavando
informazioni direttamente dalle varie ricerche presentate a Copenaghen,
affronteremo il tema dell'efficienza alimentare nelle bovine da latte
cercando di utilizzare un approccio trasversale, che unisca gli aspetti
alimentari, genetici e gestionali.
Massimizzare l'Iofc
Massimizzare l'Iofc
Il
principale obiettivo del razionamento delle bovine da latte è quello di
massimizzare l'Iofc
(valore del latte prodotto al netto dei costi
alimentari), indice che è fortemente influenzato dalla quantità di latte
prodotta per capo, dal prezzo del latte e dal costo della razione.
Questi ultimi due fattori sono poco controllabili dall'allevatore e
dipendono dalle fluttuazioni dei prezzi degli alimenti sul mercato.
Nel determinare il valore di Iofc gioca un ruolo importante il parametro dell'efficienza alimentare.
L'efficienza
alimentare è un indice che misura l'efficienza di conversione della
dieta in latte. Negli ultimi 50 anni questo indice è migliorato
notevolmente, grazie alla selezione genetica e al miglior management
volti all'aumento della produttività degli animali.
Un
animale più produttivo infatti utilizza in percentuale una quota minore
di alimento ingerito per il suo mantenimento corporeo, mentre una quota
maggiore viene convertita in latte (oltre il 75% per le bovine ad alta
produzione). Questo risultato è positivo anche dal punto di vista
ambientale, in quanto si traduce in una minor escrezione di nutrienti
con le feci.
L'avvento
della genomica sembra rappresentare un'importante svolta per poter
inserire l'efficienza alimentare tra i caratteri di selezione degli
animali.
Il ruolo delle scelte gestionali
Il ruolo delle scelte gestionali
Attraverso
dei modelli predittivi è stata dimostrata l'influenza che alcune scelte
gestionali possono avere sull'efficienza alimentare. Un aumento della
produzione media del 10% ad esempio può aumentare del 0,7% l'efficienza
energetica complessiva dell'animale.
Un
simile miglioramento può essere ottenuto anche aumentando la longevità
delle bovine con il completamento di 4 lattazioni invece di 3, riducendo
l'età al primo parto da 26 a 22 mesi o anche abbassando la durata
dell'interparto da 14 a 12,5 mesi.
Un
aspetto spesso trascurato negli allevamenti è la gestione delle scorte
alimentari. In talune realtà infatti vi è una considerevole quantità di
scarto, legata sia alle fasi di raccolta in campo, che alle perdite
durante lo stoccaggio. Sia per i foraggi che per i concentrati dovremo
cercare di preservare le migliori caratteristiche di salubrità, sapendo
gli elevati rischi che accompagnano un alimento avariato.
Fabbisogni variabili
nel corso della lattazione
Fabbisogni variabili
nel corso della lattazione
Le
vacche da latte hanno un fabbisogno di nutrienti variabile in funzione
della loro produzione di latte, della qualità del latte e dei fabbisogni
di mantenimento e di crescita; al contempo man mano che il parto si
allontana, variano anche i fattori che influenzano l'ingestione di
alimento e la ripartizione dell'energia.
Nelle
prime fasi della lattazione (90-100 giorni), l'assetto ormonale è
responsabile di un flusso prioritario dell'energia verso la mammella per
la sintesi del latte.
La
situazione si modifica con il progredire della lattazione quando cambia
la sensibilità dei tessuti periferici all'azione degli ormoni.
In
particolare nelle bovine meno produttive, se la dieta fornita è
caratterizzata da elevate quote di amido rapidamente fermentescibile,
aumenta la disponibilità di propionato (precursore del glucosio) e di
glucosio assorbito nell'intestino. La maggiore disponibilità di questo
intermedio energetico favorisce una brusca discesa della curva di
lattazione mentre si accentua la deposizione di tessuto adiposo; in
pratica la vacca diminuisce la produzione di latte e altrettanto
rapidamente ingrassa.
Bisogna
tener presente che l'energia utilizzata per il mantenimento non è
propriamente fissa, ma legata al livello di ingestione; inoltre ad un
aumento dell'ingestione corrisponde una riduzione nella digeribilità
della dieta e la bovina diventa meno efficiente nell'estrarre energia
dalla razione. Per questo le bovine altamente produttive, con alte
ingestioni, sono le bovine che hanno una minor digeribilità della dieta.
Un
altro aspetto da non dimenticare è il ruolo che ha la taglia
dell'animale sull'efficienza alimentare. Alcuni ricercatori sostengono
che per migliorare l'efficienza alimentare è consigliabile selezionare
bovine di taglia più piccola, perché caratterizzate da minori fabbisogni
di mantenimento. Queste bovine hanno però le condizioni meno favorevoli
per una buona digeribilità della dieta, data l'elevata velocità di
transito dei nutrienti nel digerente.
Nel
razionamento è importante che gli alimenti scelti abbiano un'elevata
conversione, permettendo di ottimizzare e non massimizzare l'ingestione
delle bovine. Un aumento di ingestione dovrebbe sempre tradursi in una
maggior disponibilità di energia per l'animale.
Valutare come gli animali digeriscono
Valutare come gli animali digeriscono
L'analisi
delle feci può essere un utile strumento per analizzare la quota di
nutrienti effettivamente digerita dagli animali. In passato questa
valutazione è stata applicata quasi esclusivamente all'amido,
analizzando il suo contenuto nella razione e poi nelle feci. I valori di
digeribilità dell'amido nelle vacche in lattazione possono variare
generalmente dal 70 al 96 % e si considera una soglia di allerta quando i
valori di amido nelle feci superano il 5%.
Recentemente
è stato affinato un metodo per valutare la digeribilità della fibra,
sia nella dieta che nelle feci. In laboratorio attraverso fermentazioni
di lunga durata si può misurare la quota non degradabile della fibra che
finora era solo stimata a partire dal contenuto in lignina. Per
differenza si calcola la quota potenzialmente degradabile (pdNDF), di
cui si riconoscono due frazioni: velocemente e lentamente degradabile.
Questa
valutazione deve servire per conoscere la quota di fibra che può
effettivamente apportare energia all'animale e le sue dinamiche
degradative teoriche: a questo punto l'utilizzo di programmi di
razionamento avanzati (c.d. di razionamento dinamico) ci potranno
aiutare nel formulare la razione e prevedere le risposte degli animali.
Ad
esempio gli alimenti che hanno una bassa concentrazione di fibra
potenzialmente degradabile ma che però si degrada rapidamente, come ad
esempio la medica, potrebbero fuoriuscire più rapidamente dal rumine
rispetto agli alimenti più ricchi di pdNDF ma con tassi di degradazione
lenti (kd basso, come le graminacee).
Se
consideriamo che il tempo di permanenza dell'alimento nel rumine è
influenzato anche dallo stadio di lattazione, potremo ipotizzare un
tempo di ritenzione ruminale per l'NDF di 30 ore in una vacca ad alta
produzione, mentre di circa 45 ore per una vacca a fine lattazione.
Nel
rumine di una vacca fresca la frazione di fibra potenzialmente
degradabile (pdNDF) della medica potrebbe venir digerita quasi
completamente, mentre quella della graminacea potrebbe fermarsi attorno
al 65%. Quando i tempi di ritenzione sono brevi, le leguminose infatti
possono avere una maggior digeribilità della sostanza secca, grazie al
loro minor contenuto di NDF e alla minor digeribilità totale rispetto
alle graminacee.
La maggior velocità di degradazione della pdNDF della medica migliora l'ingestione grazie ad un più veloce tasso di passaggio.
Le
graminacee avranno invece maggior digeribilità dell'NDF quando
utilizzate nelle vacche con lenti tassi di passaggio ruminale, come le
bovine meno produttive o le asciutte.
La scelta di più razioni
La scelta di più razioni
La
strategia di utilizzare una razione unica per tutta la lattazione è
molto diffusa. Questa scelta dovrebbe prevedere comunque l'utilizzo di
una dieta più ricca di fibra nei primi giorni dopo il parto, ottenuta
attraverso un aggiunta di concentrati alla dieta di asciutta o
attraverso la somministrazione della dieta di lattazione con una quota
di quella di asciutta.
Preparare
un'unica razione unifeed permette di semplificare la gestione
aziendale, evitando lo stress da spostamento agli animali e il rischio
che alcuni animali non ricevano la dieta formulata per loro. Quando gli
animali vengono spostati di gruppo solitamente hanno un calo produttivo e
necessitano di un periodo tra 3-7 giorni per adattarsi alla nuova
situazione.
Con
una dieta unifeed unica per tutte le bovine in lattazione però non si
potrà mai massimizzare la produzione e l'efficienza. Se utilizziamo
un'unica dieta unifeed dovremo stare attenti ad evitare di ingrassare le
vacche a fine lattazione, ma anche a non limitare la produzione delle
vacche più produttive.
Utilizzare
una sola dieta unifeed obbliga ad un compromesso tra ottenere alti
picchi produttivi e controllare la condizione corporea. Quando invece si
possono gestire gli animali con due diete, è possibile spostare le
bovine alla dieta più ricca di foraggi quando raggiungono un Bcs di 3 -
3,25.
Il
livello di foraggi può variare abbondantemente tra le due diete, e per
le bovine che producono meno di 40 kg un aumento del livello di foraggio
non limita la produzione, proprio perché hanno ingestioni più
contenute, ma permette di ridurre i costi. Le vacche che producono oltre
40 kg, poi, se avessero molti foraggi in razione riceverebbero un
limite all'ingestione che potrebbe portarle a produrre anche fino a 8-10
kg in meno di latte per vacca. Conoscendo la qualità dei foraggi, come
visto in precedenza, e potendo formulare più razioni è possibile
sfruttarne il pieno potenziale.
La
presenza dei robot di mungitura, o del vecchio auto-alimentatore,
rappresenta un'opportunità per ottimizzare la razione, attribuendo
individualmente diverse quantità di mangime senza necessariamente dover
preparare più razioni unifeed. Questi sistemi hanno inoltre il vantaggio
di poter considerare molti più parametri per il calcolo dei fabbisogni,
come il peso, la qualità del latte, i dati ambientali, i tempi di
ruminazione e riposo.
Differenze individuali e selezione
Differenze individuali e selezione
Nel
corso della lattazione la bovina ha un'efficienza alimentare variabile,
in relazione anche al contributo delle riserve corporee per la
produzione nella prima fase e al loro immagazzinamento nella seconda
fase. Se ci si limita a considerare la produzione di latte in relazione
all'ingestione, ad inizio lattazione si potrebbe facilmente avere un
rapporto superiore a 2, valore tutt'altro che auspicabile. Infatti la
perdita eccessiva di peso corporeo può facilmente predisporre a
patologie metaboliche come la chetosi.
Nelle
condizioni pratiche di stalla si può misurare l'ingestione media di
gruppo, la produzione di latte e, se è presente la bilancia elettronica,
anche la variazione di peso degli animali nel corso del tempo. Il dato
di efficienza ottenuto è però sempre collettivo e risulta impossibile
determinare l'ingestione del singolo animale. Per questo non è possibile
effettuare una selezione per l'efficienza alimentare usando i dati
raccolti con i controlli funzionali.
Con
l'arrivo della genomica si è aperta una strada per questo tipo di
selezione. Il suo sviluppo necessita lo studio di un numero sufficiente
di animali gestiti in stalle sperimentali, che permettano di registrare
l'ingestione individuale quotidianamente, oltre alla produzione di
latte, alla sua qualità e al peso corporeo. Successivamente si tenterà
di tracciare delle correlazioni tra il genoma di questi animali
(attraverso lo studio dei cosiddetti Snp) e la loro efficienza
alimentare.
Attualmente
negli Stati Uniti è in corso uno studio di questo tipo che coinvolge
8mila vacche. Questi studi permetteranno di capire il perché alcune
vacche siano più efficienti di altre e come la genetica interagisca con
la dieta e con le condizioni ambientali.
Idealmente
si dovrebbero misurare anche il contenuto di energia che ogni animale
elimina con feci, urine, eruttazione di gas e perdite di calore corporeo
e studiare gli effetti anche di diverse condizioni climatiche e diverse
diete sulle risposte degli animali. Per ora viene utilizzato il
criterio della misura dell'ingestione residua (Rfi, dall'acronimo
inglese “Residual Feed Intake”), cioè la differenza tra l'ingestione
teorica prevista (utilizzando come input le caratteristiche
dell'animale, dell'ambiente e della dieta) e quella realmente misurata
durante la sperimentazione.
Un
animale con Rfi basso o negativo ha un'elevata efficienza alimentare,
mentre un animale con un alto Rfi sarà meno efficiente.
È
stato dimostrato inoltre che l'utilizzo dell'Rfi è un parametro
ripetibile, aspetto molto importante quando si vuole utilizzare una
misura per la selezione genetica. Per fare ciò sono state confrontate le
risposte di Rfi con diete che andavano dal 14 al 30% di amido,
evidenziando che le bovine più efficienti lo erano a prescindere dal
tipo di dieta somministrata.
A
livello preliminare sembra che l'Rfi possa entrare in un programma di
selezione, non essendo influenzato nemmeno dall'età dell'animale, dallo
stadio di lattazione o dal numero di lattazioni. I primi dati hanno
portato a formulare una stima dell'ereditabilità per il carattere di
efficienza alimentare che si attesta mediamente al 18%.
È
importante ricordare che il solo Rfi non potrà guidare le scelte
selettive per migliorare l'efficienza. Si dovrà considerare il valore
ottimale di produzione per il peso corporeo della bovina, considerando
la percentuale di alimento utilizzato per il mantenimento. In
particolare il miglioramento di efficienza alimentare non dovrà mai
avvenire a discapito della salute e della fertilità delle bovine. Perciò
dovremo bilanciare e considerare con attenzione i legami tra
l'efficienza alimentare, il bilancio energetico, la produzione e la
longevità.
In conclusione
In conclusione
Per
migliorare l'efficienza alimentare, è emerso dunque al convegno di
Copenaghen, è necessario un approccio globale alle scelte di
allevamento. Dovremo concentrarci sul miglioramento dell'alimentazione,
della selezione genetica e della gestione delle bovine.
Dato
l'elevato valore genetico medio delle bovine, vi è in molti casi un
buon margine di miglioramento in efficienza che può essere recuperato
semplicemente con una migliore gestione. Tra gli aspetti più critici vi è
il miglioramento della qualità degli ambienti di stalla, l'applicazione
di un'efficace routine per la prevenzione delle zoppie e come
sottolineato il bilanciamento della razione in modo da raggiungere la
più alta corrispondenza tra i fabbisogni nutrizionali e quanto
effettivamente ricevono gli animali. L'utilizzo di più razioni e gruppi
di animali in lattazione permette di massimizzare la produzione e la
redditività.
L'aumento
produttivo porta direttamente a ridurre la proporzione di nutrienti
necessari per il mantenimento. Non è corretto puntare esclusivamente ad
un efficienza alimentare intesa come rapporto tra il latte prodotto e
l'alimento ingerito; al contrario è sempre vantaggioso puntare a
massimizzare l'Iofc.
La genomica, altra
conclusione a cui sono giunti i relatori di Copenaghen, ci permetterà in
futuro di selezionare anche per l'efficienza alimentare, ma dovremo
sempre concentrarci anche sui caratteri produttivi, di salute e
fertilità.
Bellissimo articolo e ricerca che purtroppo non esprime da un punto di vista della Biodiversità come salvaguardare quegli esemplari di razze autoctone, che non riuscendo anche per le loro caratteristiche fisiologiche ad adattarsi a determinati trattamenti alimentari, oggi paventano il rischio dell'estinzione in quanto di scarso interesse produttivo. Se a questo si aggiunge che bisognerebbe salvaguardare anche le proprietà organolettiche che queste razze conferiscono al prodotto (il Cacio Cavallo Ragusano non lo fanno in America, una Vacca Modicana messa a mangiare foraggio in una stalla non darà lo stesso prodotto di quando è al pascolo...) credo che la ricerca debba ancora farsi molte domande.
RispondiElimina