L’associazione “Terre Nostre Lombardia” ha presentato 26 esposti in altrettante Procure del Nord Italia. Fra queste, c’è anche Lodi, visto che la provincia è uno dei territori con più alta incidenza di impianti agricoli alimentati a biogas.
Fonte notizia:LODI IL GIORNO
L’associazione “Terre Nostre Lombardia” ha presentato 26 esposti in altrettante Procure del Nord Italia.
Fra queste, c’è anche Lodi, visto che la provincia è uno dei territori
con più alta incidenza di impianti agricoli alimentati a biogas. Denunciati, nell’esposto degli ambientalisti,
circa cento soggetti firmatari e aderenti all’intesa di filiera firmata
dagli assessori delle regioni Lombardia, Emilia Romagna e Veneto nel
marzo del 2013. Secondo l’associazione, questo provvedimento avrebbe infatti «favorito e consentito lo scambio del mais contaminato
dalle aflatossine tra stoccatori/produttori di mais e
proprietari/gestori degli impianti a biogas». Le aflatossine,
micotossine prodotte da specie fungine appartenenti alla classe degli
“ascomiceti”, «sono considerate altamente tossiche e
riconosciute tra le
sostanze più cancerogene esistenti».
Ebbene, queste microtossine hanno
avuto una incidenza record nell’estate del 2012, a causa delle
eccezionali condizioni climatiche. Con risultati disastrosi sulla
qualità dei raccolti di mais in molte importanti aree di coltivazioni.
«Da fonte Istat — accusa l’associazione ambientalista — risulta che nel
2012, nelle sole regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, la
produzione di mais è stata di 4.640.000 tonnellate, di cui circa il 60%
(2.700.000 tonnellate) è risultato contaminato da aflatossine. Vista la
conclamata “emergenza aflatossine” nel mais dei raccolti del 2012, il
ministero della Salute, d’intesa con il ministero delle Politiche
agricole, ha diffuso “procedure operative straordinarie per la
prevenzione e la gestione del rischio contaminazione da aflatossine
nella filiera lattiero-casearia e nella produzione del mais destinato
all’alimentazione umana e animale, a seguito di condizioni climatiche
estreme”. Tali procedure sono rivolte alle autorità di controllo e agli
operatori del settore mangimistico e alimentare e a tutte le aziende che
raccolgono, stoccano, essicano il mais, al fine di impedire la sua
possibile immissione della catena alimentare e mangimistica, in ossequio
alla normativa europea».
Però, secondo Terre Nostre «il
Ministero chiarisce che per garantire la tutela della salute pubblica, i
prodotti con contenuto di aflatossine oltre i limiti massimi stabili,
non devono essere commercializzati né impiegati come ingredienti di
altri alimenti o usati nella alimentazione animale, e non
possono essere diluiti con mais a minor contaminazione per renderli
conformi». Ma, dopo aver presto questi provvedimenti in ossequio al
principio della “precauzione” in presenza di studi scientifici che
attestano l’estrema tossicità delle aflatossine per la salute pubblica,
il Ministero consente a chi stocca mais infetto di venderlo in modo da
usarlo come combustibile negli impianti a biogas. Come? «Nell’intesa di
filiera del marzo del 2013 — accusa Terre Nostre — le Regioni in
difformità alla normativa comunitaria e nazionale e in palese
discordanza alle linee guida del ministero della Salute, hanno
sottoscritto l’intesa di filiera al fine di trovare uno sbocco
commerciale al mais contaminato e agevolarne lo scambio tra operatori».
Risultato? «Nonostante il divieto di commercializzazione del mais pericoloso per la salute pubblica,
hanno posto in atto il predetto scambio vietato, hanno usato il mais
nei processi di digestione anaerobica e hanno poi sparso il digestato
sui terreni, con concreto pericolo di reingresso delle sostanze
pericolose nella catena alimentare, posto che studi scientifici hanno
attestato che il processo non è in grado di eliminare del tutto le
aflatossine presente nel mais». Terre Nostre Lombardia, oltre a
denunciare la mancanza di controlli, punta il dito sul fatto «che il
mais contaminato, una volta giunto nell’impianto di biogas, non viene
immediatamente utilizzato nel processo, rimanendo invece stoccato per un
tempo indeterminato magari proprio accanto alle strutture destinate al
ricovero di animali da macello o da latte o alle strutture di stoccaggio
dei mangimi. Il pericolo di contaminazione è evidente».
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