Il momento tecnico dell’alimentazione
della bovina da latte ha bisogno di nuove
prospettive tecnologiche
La nutrizione
delle bovine da latte ha scoperto un nuovo impulso negli ultimi anni
passando attraverso una rivisitazione dell'approccio di “puro calcolo”
dei fabbisogni, arrivando a una più complessa ma sicuramente più
organica visione che tiene conto delle molte variabili che influenzano
il risultato zootecnico.
Da qui l'impiego di
sistemi “dinamici” di razionamento, integrati da una più precisa
conoscenza dei comportamenti delle bovine e dei loro “fabbisogni
ambientali”. Questa è un'opportunità di cui la moderna mangimistica
(ovvero dell'industria che si occupa della formulazione di alimenti
“complemento” per la nutrizione animale) può e deve tenere conto per
essere protagonista e partner degli allevatori al fine del
raggiungimento di migliori performances.
L'obiettivo che rende
“economica” l'attività d'allevamento deve essere quello di una maggiore
produzione quali-quantitativa che non perda mai di vista l'aspetto
sanitario, nella logica, sempre più condivisa, di riduzione dell'impiego
di farmaci e nel rispetto del benessere animale.
Oggi sappiamo bene
come, quando affrontiamo il problema del cosiddetto razionamento dei
nostri animali; dobbiamo tenere conto di quelle variabili che incidono
in modo significativo sul risultato finale e la salute dei nostri
animali.
Tre esempi “classici”:
1) non è la stessa cosa
alimentare le vacche in ambienti dove esiste
sovraffollamento e
competizione rispetto a situazioni ottimali;
2) è molto diverso alimentare animali di primo parto anziché vacche pluripare;
3) è ben chiaro a
molti (ma non a tutti…) che alimentare una bovina in condizioni da
stress da caldo, non passa attraverso una “ragionieristica"
concentrazione della dieta con l'impiego di quantità più elevate di
mangimi (…perché “la vacca mangia meno…”) , ma necessita di una
rivisitazione della dieta che tenga conto del diverso modo di
alimentarsi e della ridotta efficienza digestiva delle bovine.
Foraggi ben studiati
Foraggi ben studiati
Gli alimenti che
compongono le diete delle vacche lattifere si distinguono nelle due
grandi categorie: foraggi e mangimi. Sulla qualità dei foraggi si è
concentrata la ricerca degli ultimi anni in Italia grazie al prezioso
lavoro di alcune facoltà universitarie, in collaborazione con
prestigiosi istituti di ricerca statunitensi.
Questo ci ha aiutato a
conoscere molto meglio le caratteristiche delle foraggere “made in
Italy”, mettendo in evidenza come la qualità spesso fatica ad essere
quella giusta per soddisfare le esigenze nutrizionali delle bovini da
latte.
Le condizioni
climatiche, la tipologia dei terreni, i sistemi agronomici non sono
spesso quelli più favorevoli per ottenere produzioni di foraggi con
digeribilità e contenuti in nutrienti auspicabili. Le scelte sulle
foraggere da coltivare dovrebbero tenere maggiormente conto dei
cambiamenti climatici in atto, delle possibili “tecniche agronomiche”
della singola azienda e della necessità di rispettare produzioni esenti
da rischi “sanitari” (es. aflatossine…).
Poche novità sui mangimi
Poche novità sui mangimi
Ma se sui foraggi, come
evidenziato, si sono fatti notevoli passi in avanti verso un più
efficace impego nella nutrizione, forse troppo poco è stato fatto nel
recente passato per quanto riguarda l'altra componente della nutrizione,
ovvero i cosiddetti “concentrati” o mangimi. Con questo intendiamo dire
che l'industria mangimistica e l'università non hanno prodotto, se non
salvo deboli eccezioni, ricerche, novità sostanziali sugli alimenti e
innovazione sull'utilizzo degli stessi.
Si è passati dagli
anni degli auto-alimentatori all'epoca dei carri unifeed, concentrandosi
su questo nuovo sistema di alimentazione e dimenticando di sviluppare
informazioni scientifiche utili a migliorare le caratteristiche
nutrizionali dei mangimi (grazie a tecnologie già disponibili o da
inventare) o ad impiegare più efficacemente gli alimentatori automatici.
Parecchio si è fatto sull'additivazione (vitamine, oligoelementi
chelati, aminoacidi, probiotici, ecc.), ma poco o nulla sulla
tecnologia mangimistica in senso stretto.
Oggi si sta
ricominciando a pensare alla possibilità di utilizzo degli
auto-alimentatori, anche dove erano stati abbandonati a scapito della
tecnica unifeed, in associazione a questa. Purtroppo non esiste, se non
molto marginalmente, ricerca sul migliore utilizzo degli alimentatori.
L'obiettivo di
ottimizzare i costi e la ricerca di ottenere di una maggiore efficienza
dei nostri animali passa attraverso un “affinamento” del sistema di
alimentazione.
Relativamente ai
trattamenti tecnologici, come sopra accennato, ci siamo spinti, al
massimo, a parlare di differenti macinazioni o a formulazioni che
prevedano diverse “forme fisiche” (pellet e fioccati): non è un gran
che….
Gli anni '80 hanno
visto un maggiore “fervore” sulle tecnologie: fioccatura, estrusione,
espandatura, ma sembra che il mondo si sia fermato allora. Anzi, c'è
stata quasi una regressione: ad esempio, per quanto riguarda la
fioccatura dei prodotti, non viene per nulla messo in evidenza con
numeri di “riferimento chiari e certi”, come caratterizzare in modo
preciso l'efficacia e l'esito di un trattamento fatto in un modo
piuttosto che in un altro.
Probabilmente oggi
sarebbe il tempo di riprendere in mano queste tecnologie, approfondirle
meglio, utilizzarle in maniera consapevole e mirata.
Purtroppo siamo in
epoca di recessione economica e l'industria mangimistica fatica a
pensare di investire in ricerca applicata; l'università dal canto suo
raramente si interfaccia con l'industria per fornire dati utili e
“spendibili”. D'altro canto il settore della bovina da latte ha “tempi” e
“variabili” che condizionano pesantemente la realizzazione di ricerche.
Sicurezza alimentare
Sicurezza alimentare
Ripartiamo da alcune
informazioni che abbiamo a disposizione già oggi. Intanto una
considerazione relativa a un aspetto poco considerato: la “sanità” dei
mangimi. Ricordiamo che i trattamenti “termici” tendono ad abbassare
l'inquinamento microbiologico dei mangimi anche in maniera significativa
(vedi tabella).
In termini di
sicurezza alimentare oggi i mangimifici di miglior livello prestano
grande attenzione a questo aspetto, preoccupandosi di analizzare tutte
le materie prime all'ingresso, di trattarle quando necessario con
“acidificazione” per abbattere rischi di proliferazioni batteriche
indesiderate e utilizzando accorgimenti per una migliore conservazione
del prodotto nel tempo.
Ciò è per
l'allevatore motivo di maggiore tranquillità sull'idoneità del prodotto
che viene impiegato per le proprie vacche, in termini sia di presenza
di sostanze indesiderate, sia di maggiore costanza di composizione e sia
di rispetto di tutte le complesse normative del settore.
Ricordiamo che
l'allevatore è il responsabile primo in quanto è produttore di alimenti
destinati all'alimentazione umana e che quindi deve assolutamente
preoccuparsi di impiegare, nella propria azienda, alimenti che
dispongano di un completa “tracciabilità”.
Non c'è solo il
problema dell'aflatossina sul quale, peraltro negli ultimi anni ci siamo
ampiamente “addestrati” imparando, a mettere in atto efficaci procedure
di autocontrollo e rapida capacità di intervento alle prime
“avvisaglie”. È cronaca di questi ultimi tempi quella relativa a un
allarme “diossina” per una partita di mais proveniente dall'Ucraina che
ha messo a dura prova il sistema dei controlli, sistema che si è
dimostrato sicuramente molto vigile anche se, in alcuni casi, gli
organi di controllo adottano comportamenti non sempre univoci e che non
tengono della complessità del sistema produttivo.
Comunque anche in
questa occasione i mangimifici di “qualità” sono stati in grado di
attivare efficacemente tutto il sistema di tracciabilità necessario per
tutelare l'allevatore e, ancora più importante, il consumatore finale.
Questi mangimifici oggi garantiscono la qualità del loro lavoro
certificandolo attraverso organismi “terzi” che li obbligano a procedure
rigorose e puntualmente controllabili (Haccp, codex Assalzoo, Gmp
plus, ecc.).
Trattamenti a confronto
Trattamenti a confronto
Oltre a questo aspetto relativo alla “salubrità” dei mangimi,
risulta interessante, come sopra accennato, ricominciare ad
approfondire un migliore utilizzo delle tecnologie a disposizione
dell'industria mangimistica pensando a nuovi possibili sviluppi.
Il dato importante ma
forse un po' troppo “grossolano” è noto: i differenti trattamenti
cambiano la digeribilità dei nutrienti ad esempio l'amido (vedi grafico
1): la temperatura e l'umidità condizionano processi di rottura delle
molecole di questo carboidrato complesso migliorandone la digeribilità.
Macinatura. Ormai
“storiche” ricerche hanno indagato sull'utilizzo di macinature
differenti, in funzione dell'alimento da macinare (es. cereali diversi),
delle modalità di somministrazione, della fase di allevamento. È noto
che una macinatura “più fine” garantisce una maggiore superficie di
attacco da parte delle popolazioni batteriche e degli enzimi della
digestione (vedi grafico 2).
Nella formulazione
dei mangimi purtroppo non tutti i mangimifici sono in grado di variare
la macinatura delle singole materie prime impiegate.
Fioccatura. Il
processo di fioccatura, che implica una schiacciatura dopo
vaporizzazione, può essere più o meno “spinto”, determinando così
qualità finale dei prodotti estremamente diverse, e questo è un limite
per un preciso impiego e per una costanza di risultato.
Espandatura. Il
processo di espandatura utilizza una compressione meccanica e raggiunge
temperature superiori a 100 °C. Risulta molto interessante per la
grande sanificazione che ottiene, ma soprattutto perché gelatinizza e
destrinizza l'amido (questo risulta molto più degradabile e digeribile).
Migliora inoltre la
digeribilità della proteina. E, non ultimo, cambia la capacità di
idratazione anche della fibra, migliorando l'attacco batterico ed
enzimatico.
Estrusione. Il
processo infine di estrusione utilizza una compressione meccanica più
spinta che determina la formazione di “crocchette”. Si raggiungono
temperature più elevate (120-140 °C) migliorando sensibilmente la
digeribilità: l'amido degrada meglio; la proteina si rende molto più
“by-pass”; si ottiene una maggiore capacità di idratazione della fibra.
Il vantaggio di
questi due ultimi trattamenti citati (estrusione, espandatura) rispetto
alla fioccatura consiste nella minore variabilità del prodotto e nella
maggiore costanza di risultati.
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