venerdì 12 settembre 2014

Quote latte da incubo. Allevatori del Nord ancora perseguitati

Arrivano le nuove cartelle delle multe ricalcoltate. Molti per pagarle avranno una sola possibilità: svendere le stalle a qualche multinazionale estera. È questo che voleva Bruxelles?
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Quella delle quote latte è una storia destinata a non finire. Così, nonostante le rassicurazioni del ministro Martina secondo il quale durante il semestre di presidenza italiano qualcosa si sarebbe mosso, ecco che a muoversi è ancora una volta la burocrazia europea che da anni cerca in tutti i modi di fare chiudere le stalle del Nord.
Nelle ultime ore una valanga impressionante di sentenze a carico di quasi un migliaio di aziende tra Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia, hanno "invaso" la Padania e, ancora una volta, rischiano di mettere i lucchetti alle aziende agricole.
Così, nonostante
dal primo gennaio del prossimo anno le quote latte di fatto non esisteranno più, c'è ancora chi sostiene che le stalle del Paese abbiano prodotto più di quanto permesso e che, quindi, debbano pagare. Respinte al mittente le richieste degli allevatori che chiedevano di verificare con attenzione i diversi passaggi tra il campo e la tavola andando soprattutto a controllare i numeri forniti da Agea, l'agenzia per le erogazioni in agricoltura, che avrebbe clamorosamente sbagliato la compilazione dei moduli e, a seguire, la trasmissione dei dati a Bruxelles.
Insomma, non ci sarebbe stata nessuna sovrapproduzione, ma solo un'errata compilazione dei modelli. Errori da ragionieri e non truffe da agricoltori, che Bruxelles non vuole però approfondire.
Così, ancora una volta, davanti alle stalle si sono presentati gli uomini delle fiamme gialle e i solerti funzionari dell'Agenzia delle entrate che ha approvato i nuovi modelli delle cartelle di pagamento per la riscossione debiti.
Eppure a sostegno delle tesi degli agricoltori c'è anche l'ormai famosa inchiesta nata da un'indagine dei carabinieri del Ministero dell'agricoltura, secondo la quale all'Agea qualcuno aveva "manomesso" le cifre, conteggiando aziende anche con mucche da 82 anni, e sbagliando pure l'algoritmo che doveva calcolare quote, produzioni e relative multe a chi aveva sgarrato. E allora? I giudici di Roma hanno dribblato il problema prendendo spunto proprio dal giudizio penale mosso nei confronti dei funzionari Agea. In quell'occasione, il giudice ha archiviato il procedimento, invitando i pm a valutare una possibile «nuova iscrizione di reato a carico per falsità ideologica» perché, secondo il Tribunale, l'algoritmo sbagliato non configurerebbe il reato di truffa ma potrebbe trovare riscontro in questo diverso «capitolo».

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